di Enrico
Alzi la mano chi non ha mai sentito dire frasi del tipo: “i giovani non hanno voglia di fare nulla”, “i giovani sono sempre più rammolliti” e chi più ne ha, più ne metta.
Tralasciando il fatto che il più delle volte frasi di questo tipo vengono proferite da persone nate tra i primi anni ’50 e gli anni ’60 e che quindi sono andate in pensione a cinquant’anni (quando proprio gli andava male), che sono state giovani quando l’ultima delle difficoltà era trovare un lavoro stabile e comprare una casa di proprietà e che soprattutto sono state giovani in un momento di grandi cambiamenti (più nel male che nel bene, ma questo è un altro paio di maniche) e in cui perciò la partecipazione giovanile era molto più sentita.
Tralasciando tutto questo, a prima vista parrebbe proprio che abbiano ragione coloro che ripetono quasi spasmodicamente le frasi riportate all’inizio. Sembrano in effetti così lontani i tempi delle agitazioni, i tempi in cui le forze dell’ordine avevano paura a entrare nelle università, i tempi delle associazioni degli studenti, i tempi in cui i ragazzi anche con poco sembrava che potessero letteralmente sollevare il mondo.
Ma adesso i giovani sono forse più “scoraggiati” o, peggio ancora “rassegnati”?
Assolutamente no. Un tempo si diceva che “essere giovani e non essere rivoluzionari è una contraddizione persino biologica”. E ciò è tremendamente vero: i giovani sono l’ingrediente fondamentale di ogni cambiamento.
E nessuno ha mai reso tanto bene questa idea come fece Robert Brasillach in quello che è con ogni probabilità suo romanzo più famoso, I sette colori:
“Quelli che muoiono poco dopo i trent’anni non sono consolidatori, ma fondatori. Portano al mondo lo scintillante esempio della loro vitalità, delle loro conquiste. Frettolosamente, accennano qualche strada al lume della loro gioventù sempre presente. Abbagliano, interpretano, meravigliano… danno la fiamma, l’avvenire. Non si immaginerebbe Alessandro, vecchio e saggio, legislatore dell’Oriente: il suo ruolo sta nel mettere di fronte l’Occidente e l’Oriente. Dopo di che, sbrigatevela da voi. Tali sono gli esseri che scompaiono prima delle menomazioni, prima dell’equilibrio, prima della riuscita. Non sono venuti per portare nel mondo la pace, ma la spada”.
Non consolidare dunque, ma fondare. Non la pace, ma la spada.
A ben vedere, solo dal caos può nascere qualcosa di nuovo; solo dall’ira, dal furore può nascere un nuovo orizzonte di senso, mentre le opinioni sono molto simili tra loro e spesso addirittura sono identiche le une alle altre. Ed è dalle “opinioni” di carattere liberal-democratico, appunto, che nasce l’immobilismo, quella sensazione di ristagno che ha soffocato e vuol continuare a soffocare anche il mondo giovanile. La gioventù non ha bisogno di altre opinioni, di altre frasi come “ai miei tempi…” oppure “i giovani d’oggi…”, ma solo di quel fuoco che la proietterà alla ribalta della storia.
La gioventù ha la forza di cantare la propria furia liberatrice nella sommossa e nell’agitazione culturale, con quella forza che irrompe nella storia e distrugge la linearità del tempo.
Quando il velo di immobilismo, di ipocrisia e di tranquillità piccolo-borghese, che copre la nostra società sarà stato strappato da quella stessa gioventù, allora e solo allora, il fuoco dell’agitazione tornerà ad infiammare le scuole, gli atenei e le piazze. E solo allora davvero potremo assistere a qualcosa di completamente nuovo.
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