di Santilli

Tendiamo a sottovalutare quanti ambiti di studio siano egemonizzati da forze e teorie puramente antifasciste che imprimono nella nostra capacità di vedere un paradigma al quale non prestiamo neanche attenzione tanto lo abbiamo interiorizzato, è questo il caso delle “scienze umane” intese impropriamente nel sistema scolastico italiano come antropologia, sociologia, psicologia e pedagogia, da queste quattro sorelle provengono molte visioni del mondo che direttamente o non ci socializzano e dunque plasmano il nostro essere e la modalità con cui ci rapportiamo al mondo.

PER UN NUOVO PATRIMONIO

In questa serie di articoli cercheremo di aprire un varco in ambiti di studi “dell’umano” che possa fornire un seppur minimo contraltare, partiremo dalla scienza più romanticizzata, l’antropologia, precisamente il suo ambito di studio legato ai patrimoni culturali intesi non solo nella visione “oggettivista” comune ma legati soprattutto alla manualità, ai modi di produrre e fare, ai saperi e alle concezioni del mondo nonché all’anima stessa che imprimiamo negli oggetti, l’importanza di tale ambito è espressa dal legame tra i patrimoni culturali e la creazione dell’identità, collettiva e singola, sarà ora chiaro ai più perché combattere in questo ambito e quale siano i motivi del nostro interesse.

L’ampiezza dell’argomento cozza con i perimetri dell’articolo, andremo quindi a prendere in esame un dialogo molto specifico circa la concezione degli “Intangible Cultural Heritage” in Cina e come essi siano concepiti in maniera non propriamente affine con la definizione UNESCO di matrice occidentale.

“INTANGIBLE CULTURAL HERITAGE”

Il concetto di “Intangible Cultural Heritage” (da ora ICH) dell’UNESCO innanzitutto risulta semanticamente connotato in lingua inglese e quindi già di per sé difficilmente rendibile in altre lingue. Nel contesto italiano la sua resa più affine risulterebbe nell’asse della temporaneità e non della solidità, cioè gli ICH non risultano come beni culturali intangibili ma come beni culturali volatili in quanto il concetto di bene intangibile rimanda troppo al concetto di fisicità, si rischia nel senso di scorporare fisicità e mancanza di essa nei patrimoni, il termine “volatile” dunque si rende più appropriato in quanto sono proprio quei beni che se non sono agiti tendono a scomparire, ne abbiamo un fulgido esempio nei modi di produrre come l’artigianato, mentre di rispecchio i beni durevoli anche se non agiti restano.

Nel contesto cinese troviamo un problema analogo, la resa semantica, precisamente del concetto di “intangible” risulta problematica e probabilmente inscrivibile nel concetto di “spiritual”, è qui che veniamo al primo nodo, secondo Zhuang Liu (antropologo cinese) il termine ICH proviene dal contesto europeo, tuttavia più che proveniente dall’Europa è figlio di un concetto di occidente e dalla sconfitta dell’ultimo conflitto mondiale.

Va specificato, per fornire qualche attrezzo in aiuto alla comprensione degli ICH, che il concetto di “intangible” e “tangible” risultano come una divisione puramente strumentale, tali ambiti sono intersecati, basti ragionare come un bene durevole quale una chiesa sia inscindibile dalla conoscenza di come costruirla, gli ICH inoltre sono parte costitutiva del patrimonio culturale, ciò che ci interessa veramente in questo articolo però è di comprendere come la definizione UNESCO non sia solo distante dall’immaginario cinese ma come essa debba essere distante anche dal nostro.

UNA DIVERSA VISIONE

Liu nel suo dialogo con il collega italiano non si limita ad una spiegazione semantica per il quale gli ICH in cinese non sono immediatamente recepibilii ma ci fa capire come il concetto di società e patrimonio come agibile anche da “esterni alla comunità” (comunità altro tema contestualizzabile) sia una concezione occidentale e non planetaria. La “comunità di eredità” per come è immaginata in Italia è “costruita da un insieme di persone che attribuiscono valore ad aspetti specifici dell’identità culturale, e che desidera […] trasmetterli alle generazioni future”, fin qui tutto normale se si esclude che i patrimoni culturali nell’antropologia risultano quelli che “si sentono propri”, con una funzione di integrazione e democrazia, condita ovviamente con una onnipresenza del termine “meticciato” ad intendere come i patrimoni siano derivanti da un miscuglio continuo. Sottendere che i patrimoni siano monolitici e mai modificati da altri esterni è ovviamente utopia ma l’antropologia occidentale, nella sua inflessione marxista ovviamente punta alla messa in moto totale del concetto in un chiaro piano di riterritorializzare verso le “comunità”, intese come chiunque si senta parte di esse, da una parte, e la globalità dall’altra.

Rispetto a tali concezioni l’approccio cinese tiene parte della mobilità dei patrimoni culturali ma da un valore alla sua trasposizione di ICH come di conferma e rinsaldando dell’identità cinese al contempo ricordando ai colleghi italiani come la globalizzazione sfrenata, che ricordo nostra nemica, stia inevitabilmente assottigliando gli ICH appiattendoli verso un solo sistema economico e di produzione, per questo Liu punta alla protezione degli ICH ma identifica i portatori degli stessi non le “comunità” ma “persone appartenenti a tutti i gruppi etnici”(cinesi) con un forte supporto dell’apparato statale nella sua definizione e protezione. Proprio legato a questo vi è un accusa all’UNESCO come uno strumento volutamente utilizzato per oscurare le differenze delle nazioni, il che porterebbe ad una concezione multietnica dello stato con un sottovalutato concetto di etnicità e una forte difficoltà a svilupparsi culturalmente in un totale caos ideologico.

Tale contrapposizione tra il nostro ambiente accademico e quello del dragone appare così incolmabile, ma siamo sicuri che la concezione occidentale di patrimoni culturali, ICH e chi li possa portare avanti sia esatta? Stiamo vivendo assolutamente il caos ideologico preventivato e questo non accenna a diminuire, riprendersi il patrimonio culturale passa anche dalla conoscenza dello stesso nonché dalla produzione culturale che un determinato ambiente può mettere in campo per fornire nuove concezioni, va tuttavia ricordato che attaccarsi a vecchie idee eccessivamente tradizionaliste rischia di bloccare nel passato le nostre idee, urge per questo trovare una concezione europea dei patrimoni culturali volatili  per non rimanere ora sotto la cultura egemonica occidentale e forse un domani sotto un’altra più centrata e cosciente di sè.