Di Alessandro

Giambattista Vico nacque a Napoli nel 1668 da una famiglia di modesta estrazione sociale. Avviato in adolescenza allo studio della grammatica e, successivamente, della metafisica, fu costretto per volere paterno a studiare Giurisprudenza presso l’Università di Napoli. Dopo aver conseguito la laurea in utroque iure si appassionò immediatamente ai dilemmi filosofici scaturiti dallo studio del Diritto.

Dal 1689 al 1695 lavorò come precettore dei figli del Marchese Domenico Rocca, in questa occasione ebbe la possibilità di approfondire la conoscenza dei filosofi antichi, dai presocratici a Lucrezio, dai quali rimase colpito. Tra i vari temi su cui si concentrò nella sua attività filosofica, ricopre una grande importanza la filosofia della storia, da lui chiamata “storia spiegata attraverso le idee”. Egli concepisce la filosofia di un popolo analizzandone la storia. L’utilizzo della filologia, per questo scopo, fu di primaria importanza. Secondo Vico, ogni popolo possiede le proprie caratteristiche, dovute al processo storico che questo ha attraversato.

Vico pone per primo una critica al razionalismo cartesiano senza cadere nell’errore empirista di Locke: il verum ipsum factum, è possibile conoscere attraverso le cause. Sebbene questo pensiero sia presente in altre filosofie come quella occasionalista e nel volontarismo scolastico di Scoto, Vico lo intende diversamente. Vico afferma nella Scienza Nuova, che il Vero e conoscibile solo a Colui che ne è causa prima. Razionalmente, noi possiamo riconoscere le verità ma non conoscerle pienamente. Il Cogito cartesiano non è sufficiente per conoscere noi stessi. La coscienza di esistere non ne presuppone la conoscenza. Infatti, non non creiamo noi stessi, noi siamo effetto di una causa ed in quanto tali non possiamo conoscerci a pieno. Terminando la critica di Vico a Cartesio, si può affermare che quest’ultimo abbia, per Vico, erroneamente attribuito la conoscenza degli effetti al principio di verità, il quale però procede solo da Dio, in quanto Egli è causa incausata.

La filologia è lo strumento primario che Vico utilizza per studiare come un popolo si approcci alla vita. Le differenze strutturali presenti nelle differenti lingue a radici comuni, come ad esempio il francese e l’italiano, dimostrano anche una differenza di mentalità. Ad oggi, in ambito accademico, si concorda generalmente con questa affermazione, la quale fu in primo luogo individuata da Vico stesso.

La storia di ogni civiltà umana è costretta a tappe ben precise, dove cangia la concezione dello Stato e di Dio. Durante tutto l’ottocento e il novecento, furono accreditate queste teorie. Il decadimento di questa visione misurante il progresso di una civiltà su uno standard generale fu abbandonato per fini politici. Venne vista, dagli antropologi, come una visione “europocentrica” e, nel nostro secolo, “suprematista bianca”. Vico interpreta il cambiamento delle civiltà in tre tappe: l’età degli dei, l’età degli eroi e l’età degli uomini. Queste tre tappe sono anche individuabili nella storia dell’individuo con le tre tappe dell’infanzia, dell’adolescenza e dell’età adulta. L’età degli Dei è caratterizzata dal sentimentalismo, l’uomo non comprende il mondo e affida la propria vita ad una serie di divinità riscontrabili con le forze della natura. Nell’età degli eroi, un gruppo si impone sugli altri e nasce la casta aristocratica. L’uomo segue l’esempio di figure mitiche per ottemperare ad una vita morale. Nell’età deglio uomini, l’uomo utilizza il raziocinio per realizzarsi e per vivere in civiltà con la propria comunità.

Il contributo che Vico diede alla filosofia europea è immenso: con lui si iniziò a guardare alla storia non solo come esempio ma come risposta ad alcune domande.