Di Ettore Rivabella

La fine del XIX secolo vede la classe lavoratrice influenzata principalmente dalle figure di Marx e Mazzini, ma un posto di rilievo viene mantenuto anche dalla scuola cristiano sociale e cristiano democratica, che trovano i loro riferimenti culturali nel Toniolo e nel Papa Leone XIII con la fondamentale enciclica Rerum Novarum. Nello stesso periodo in Francia si sviluppa un movimento che interesserà l’Italia, l’Argentina, gli Stati Uniti e molte altre nazioni europee. Questo movimento denominato Sindacalismo Rivoluzionario presenta numerose influenze dottrinarie, tra queste si evidenzia sia una rielaborazione del marxismo, sia elementi del pensiero anarchico nella sua versione proudhoniana. Maggiori teorici del Sindacalismo Rivoluzionario francese sono certamente George Sorel, autore di “Considerazioni sulla violenza” e Hubert Lagardelle, che divenne successivamente Ministro del Lavoro dello Stato Francese con Presidente Philippe Petain. In Italia il pensiero soreliano influenza due economisti, che diventano importanti riferimenti ideologici del Sindacalismo Rivoluzionario, Enrico Leone ed Arturo Labriola, massone, antifascista, esule, poi fascista entusiasta e collaboratore di Nicola Bombacci.

Il sindacalismo rivoluzionario

Riprendendo un testo di Giovanni Facchini si può affermare che “i seguaci di Sorel vedevano nel sindacato di mestiere, e non nel partito politico, fosse pure quello socialista, lo strumento primario che dal basso doveva spingere le masse proletarie ad autogestirsi e ad autoaffermarsi, attraverso la durissima pedagogia di lotta dello sciopero, del sabotaggio, del boicottaggio, fino ad arrivare a costituire un vero e proprio contropotere alternativo, autoregolantesi attraverso i principi della più genuina democrazia diretta, che avrebbe eroso e infine sostituito, arrivato il momento mitico dello sciopero generale, le vecchie e decrepite istituzioni borghesi”. Evidente il distacco dall’ortodossia marxista ferma e categorica sulla subalternità del Sindacato rispetto al partito, altrettanto evidente il contrasto rispetto al riformismo socialista, che controllava il movimento sindacale italiano. La prima prova di forza, che coinvolge strutture che si richiamano al Sindacalismo Rivoluzionario, può considerarsi lo sciopero generale del settembre 1904. Successivamente nel 1906 viene fondata la Confederazione Generale del Lavoro a maggioranza riformista, nello stesso anno Angelo Oliviero Olivetti, in esilio a Lugano, comincia a pubblicare un quindicinale politico culturale “Pagine Libere” che insieme al “Divenire Sociale” di Enrico Leone, può ben definirsi la principale rivista del Sindacalismo Rivoluzionario italiano, che vide la collaborazione Paolo Orano, Arturo Labriola, Alceste De Ambris, Benito Mussolini. Ha vita tormentata, infatti nel 1912, dissensi interni dovuti alla posizione da prendere nei confronti della guerra italo turca mettono momentaneamente fine alla sua stampa, ripresa nel 1914 con lo scopo di promuovere l’intervento in guerra dell’Italia.

Un socialismo “aristocratico”

Nel 1907 la pattuglia di sindacalisti rivoluzionari si stacca dal Partito Socialista e con Alceste De Ambris, Filippo Corridoni, Ottavio Dinale, Michele Bianchi, che saranno tra i principali esponenti del movimento, inizia un’intensa attività sindacale. Nel periodo pre-bellico il Sindacalismo Rivoluzionario presenta caratteristiche estremamente innovative ed inserite nella modernità. I sindacalisti rivoluzionari danno vita ad una sorta di “socialismo aristocratico”, guidato da una élite minoritaria altamente preparata. Hanno una considerazione fortemente negativa della Democrazia parlamentare, che ritengono strumentale al capitalismo e contraria agli interessi del proletariato. Compito del Sindacalismo Rivoluzionario è proprio quello di guida nella lotta contro lo stato liberale per condurre il Proletariato alla creazione di una nuova concezione statuale, avente le strutture sindacali come elemento portante. Tuttavia il nemico da abbattere è proprio il socialismo riformista, che monopolizza il movimento operaio ed è lontanissimo dall’attivismo, dal dinamismo, dal valore superiore della “militanza” che caratterizza il Sindacalismo Rivoluzionario e che ha nello “sciopero generale” il suo momento catartico. Lo sciopero visto come prova di ardimento e maturazione del movimento sindacale nel suo complesso che si trasforma in comunità militante alternativa alla borghesia, pigra, pavida, timorosa e dipendente dalla tutela statale, che le garantisce sicurezza e pace sociale all’interno, nonché protezionismo e dazi doganali verso la concorrenza straniera.

La dinamo della storia

Grazie invece ad elementi comuni, quali l’energia creativa, il culto dell’azione, cominciano a crearsi legami ed apporti reciproci tra Sindacalismo Rivoluzionario e Futurismo. Il suo principale esponente Filippo Tommaso Marinetti fa proprie le tesi partecipative di Filippo Carli: “Noi futuristi crediamo che bisogni imporre al più presto l’azionariato sociale cioè: la partecipazione degli operai alle imprese (Filippo Tommaso Marinetti “Azionariato Operaio” in Democrazia Futurista) e da parte nazionalista risponde Enrico Corradini che, nel 1909 parlando a Trieste, pone in stretto rapporto sindacalismo e nazionalismo, facendo uscire quest’ultimo dalle pastoie borghesi e patriottarde postrisorgimentali. La guerra italo turca determina un ulteriore punto di svolta, Angelo Oliviero Olivetti e Sergio Panunzio , esponenti del movimento, sviluppano il tema nazionalistico, emancipandolo dalla retorica ottocentesca verso una visione di riscatto per un popolo giovane e pieno di energie come quello italiano:


“Il sindacalismo, in opposizione con le epoche incerte della civiltà universale, delle epoche di
transizione, di silenzio, di quiete, di rassegnazione democratica o cristiana, si richiamava alle
epoche imperialistiche. Come esse implica uno sforzo, un desiderio di dominio, una volontà di
potenza, aborre la pallida uguaglianza conventuale sterilmente sognata dal collettivismo e
preclude alla formazione di élite battagliere e conquistatrici, sfrenate all’assalto della ricchezza
e della vita”
. (Angelo Oliviero Olivetti, “Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo“)


“Sindacalismo e nazionalismo sono antidemocratici, antipacifisti, antiborghesi. … sono le due
solo tendenze aristocratiche in una società quattrinaia e bassamente edonistica, quello agitante
l’avvento di una élite di produttori, questo auspicante il predominio di una élite della razza …
Finalmente nazionalismo e sindacalismo hanno comuni il culto dell’eroico, che vogliono far
rivivere in mezzo ad una società di borsisti e di droghieri. … Il nazionalismo ed il sindacalismo
sono le sole concezioni politiche del nostro tempo che agitano le profondità di un mito, quello
invocando la supremazia della stirpe, questo lo sciopero generale e la rivoluzione sociale”
.
(Angelo Oliviero Olivetti “Sindacalismo e Nazionalismo. Pagine Libere“).


Così sintetizza Amilcare De Ambris:


“Noi vogliamo lo sviluppo integrale, completo, autonomo del sindacato operaio, fino a farne
l’elemento costitutivo principale e l’organo direttivo della nuova società dei produttori liberi ed
uguali per la quale combattiamo”. “Noi andiamo ad una meta opposta a quella dei [socialisti]
riformisti. Noi vogliamo annullare il potere oppressivo dello stato; essi vogliono moltiplicarlo ed
aumentarlo fino a farne il regolatore supremo di tutta la vita sociale. Noi miriamo alla conquista
dell’autonomia e della libertà integrale dei gruppi produttori, e dell’individuo in seno a questi
gruppi”
. (Congresso della CGdL – Modena 23-25/11 1912. Ordine del giorno di Amilcare De Ambris)


La risoluzione De Ambris decreta ufficialmente la nascita dell’Unione Sindacale Italiana. L’U.S.I. si sviluppa rapidamente ed aumenta il proprio peso politico diffondendosi sul territorio nazionale e avendo a Milano il suo cuore pulsante, grazie all’attivismo ed all’organizzazione di Filippo Corridoni.

La Rivoluzione: violenza e intelligenza

Per i sindacalisti rivoluzionari, citando nuovamente Giovanni Facchini, “nessun partito rappresenta genuinamente la classe operaia e quindi nessun partito può arrogarsi il diritto di parlare a nome di essa e di dichiarare di essere il difensore dei suoi interessi – in quanto il sindacato – espressione pura della classe operaia organizzata per la lotta, è l’unico elemento che possa operare, con i suoi mezzi, la trasformazione radicale della … società”.

Il Sindacato basta a se stesso”.
(Filippo Corridoni. “Sindacato e Repubblica“)


“Con la pratica della ‘democrazia diretta’ anche i partiti perdono gran parte della loro onnipotenza con l’uso dei referendum, del diritto d’iniziativa ogni cittadino comincerà a giudicare con la propria testa, senza contentarsi più di delegare un dato individuo a pensare per lui. E allora tutte le promesse miracolanti … le battaglie omeriche combattute nell’agone montecitoriale, le pretese rivelazioni delle macchinazioni ministeriali e tutti gli altri ritrovati cagliostreschi del parlamentarismo non serviranno più a nulla e il deputato diventerà il semplice delegato di un certo numero di cittadini, che ha un potere ben limitato, del quale si seguono passo passo le azioni, ed a cui si rivedon le bucce, con i referendum, quando ha fabbricato … una legge che non va”. (Filippo Corridoni, “Sindacato e Repubblica“).


Il Sindacato diventa quindi l’elemento vitale del nuovo modello di Stato e Società, sindacato di mestiere, forgiato dalla lotta e caratterizzato da una forte competenza tecnica, intesa anche come elemento di selezione della futura classe dirigente, una nuova aristocrazia operaia. In contrapposizione con un Capitalismo miope e parassitario:


“Queste verità elementari non sono affatto comprese dai nostri capitalisti. La loro parola d’ordine è pagare poco, ed allontanare dalle loro officine chiunque sia riuscito, o per il fatto di essere anziano, o per le sue capacità tecniche, o per altre doti, a guadagnare un po’ fuori dell’ordinario… gli industriali fanno in modo di mantenere. Operai disoccupati, i quali dovendosi offrire producono automaticamente una depressione dei salari. Una manodopera che è condannata al moto perpetuo sarà una manodopera buona a tutto fuorché a far progredire l’industria; la paura che li domina di perdere il posto da un momento all’altro, vale a tenerli lungi dall’organizzazione di classe; le industrie che sono riuscite a farsi strada, imponendosi nel nostro mercato nazionale e riuscendo per la bontà dei loro prodotti a far seria concorrenza alle industrie similari estere sulle proprie piazze, sono appunto quelle che non hanno badato a sacrifici per formarsi una maestranza modello e che formatala, se la affezionano con una ben compresa generosità, senza temere l’organizzazione di classe del proprio personale, nella convinzione che chi è conscio dei propri diritti sente anche altamente i propri doveri”. (Filippo Corridoni, “Sindacato e Repubblica“)

La rivoluzione passa da una crescita morale e culturale del Proletariato, dalla presa di coscienza e dall’assunzione di un ruolo, dalla consapevolezza di un destino comune o meglio comunitario:


“La rivoluzione non deve essere opera di un ventre vuoto o di uno stomaco stiracchiato, ma bensì di un cervello sano e fresco, che medita una vita di giustizia e di equità e che vi vuol giungere a tutti i costi, anche attraverso alla violenza, ma organizzata e intelligente”. (Filippo Corridoni, “Le rovine del neoimperialismo italico“)


Il sindacalismo rivoluzionario è fortemente liberista e antiprotezionista perché ritiene che la borghesia abbia perso il suo ruolo propulsivo, accontentandosi di sopravvivere sotto le tutele di uno Stato protezionista, che tenta di salvaguardare in tutti i modi un “organismo industriale rachitico”:


“L’ignara borghesia è alimentata dalla sicurezza in cui si sente, sotto la protezione economica e
politica dei baluardi statali. Il giorno in cui fossero attuati il libero scambio… La borghesia si
troverebbe in posizioni scoperte … e ci sentiamo tutt’altro che maturi a sostituirla nel grave
compito della produzione. Se vogliamo questa trasformazione, che può essere una rivoluzione ,
gli è perché siamo in grado … di constatare che la borghesia… si è arrestata nella sua marcia
ascendente di produttrice”.
(Filippo Corridoni, “Sindacato e Repubblica“)


Ma vede anche tutti i limiti di un Proletariato che “lotta solo per i suoi interessi immediati“:

“La socializzazione dei mezzi di produzione e tutto ciò che concerne l’assunzione proletaria
alla gestione della produzione, gli appaiono cose troppo remote, perché debba rinunciare alla
soddisfazione di qualche appetito presente, in omaggio ad una preparazione morale per l’atto
compiutamente rivoluzionario sprofondato nell’avvenire il proletariato si orientò verso
coloro che gli promettono la soddisfazione dei suoi bisogni più elementari ed immediati, senza
costringerlo a sforzi e sacrifici, che non verso quelli che, mirando più all’avvenire che al
presente lo spronano a battaglie cruenti con risultati sovente minimi, paghi solo d’aver lottato
con onore, con valore e di aver addestrato propri soldati per le più grosse pugne di domani”.

(Filippo Corridoni, “Sindacato e Repubblica“)

Il progetto sindacalista

“Il Sindacalismo Rivoluzionario ha una visione federalista dello Stato, evidenziata dal progetto comunalista di Alceste De Ambris e dalla visione corridoniana di un potere diffuso avente come fulcro le Province, inserito in ampi spazi di Democrazia diretta, anche attraverso l’utilizzo del Referendum… è bene che schizziamo una specie di programma contemplante le riforme che noi vorremmo che fossero apportate all’organismo che regola l’attuale convivenza sociale:

  1. Federazione delle provincie italiane, con trasmissione ad esse di gran parte degli attuali
    tributi statali.
  2. Nazione armata.
  3. Libero scambio e soppressione di ogni sovvenzione all’industria privata.
  4. Soppressione della Polizia di Stato ed istituzione di polizie comunali.
    5.Scuola libera.
  5. Diritto di referendum.
  6. Diritto di iniziativa e di revisione.
  7. Eleggibilità e revocabilità di tutte le cariche, nessuna eccettuata”.
    (Filippo Corridoni, “Sindacato e Repubblica“)

Infine i sindacalisti rivoluzionari sono fortemente antimilitaristi, ma tuttavia si dimostrano ben lontani da qualsiasi integralismo antimilitarista:


“La rivoluzione si farà non contro l’esercito ma con l’esercito”.
(Motto di “Rompete le righe” giornale fondato da Corridoni nel 1907)

La conflagrazione europea

Nel 1914, lo scoppio della Grande Guerra impatta violentemente sui fragili equilibri all’interno del Sindacalismo Rivoluzionario. Alceste De Ambris si esprime a favore dell’intervento, appoggiato da Filippo Corridoni che durante un comizio interventista dirà una frase rimasta celebre: “I proletari di Germania hanno dichiarato di essere prima tedeschi e, poi socialisti. Ecco un fatto nuovo che noi ignoravamo e che abbiamo avuto il torto di non intuire”. Si assiste ad una accelerazione esponenziale di quella naturale evoluzione che porterà dal Sindacalismo Rivoluzionario al Sindacalismo Nazionale:

”Affermare che la classe non sta contro ma entro la nazione, che la questione sociale non è
questione internazionale ma anzi la massima questione nazionale, che la classe non nega la
nazione ma vuole conquistarla, che tutti gli atteggiamenti fattivi e tutto il movimento operaio
debbono essere costantemente subordinati ai supremi fini nazionali”.

(Angelo Oliviero Olivetti, “Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo“)


Anche Benito Mussolini evidenzia questo elemento di novità, che pone alla base della futura evoluzione politica e della successiva fondazione dei Fasci. Con la fondazione del Fascio Rivoluzionario di Azione interventista si consolida la saldatura tra Sindacalismo Rivoluzionario e Movimento Futurista, trovando importanti elementi comuni con l’interventismo mussoliniano, cosa che avrà importanti ed interessanti sviluppo a guerra finita. Nelle trincee si forma una nuova compagine sociale, che non nega il conflitto di classe, ma comprende l’utilità di una sua ricomposizione nell’interesse superiore dello Stato nazionale, uno Stato nato da una vera Rivoluzione che pone i Produttori a ricoprire un ruolo egemone e fondamentale, ruolo già assunto durante i duri anni di guerra. Nel giugno del 1918 a Milano viene fondata, da Rossoni e De Ambris, l’Unione Italiana del Lavoro, che rappresenta un’ulteriore passaggio nella riorganizzazione del Sindacalismo Rivoluzionario e nel suo processo evolutivo. Nel suo Manifesto Programmatico la UIdL auspica l’assoluta autonomia della classe produttiva dai partiti, la rappresentanza delle categorie economiche nei corpi elettivi, l’assoluta autonomia comunale, l’eliminazione delle funzioni dello stato centralistico.

Il sindacalismo Fascista

Nel biennio 1919/1920 si assiste ad una sostanziale collaborazione di Alceste De Ambris al progetto mussoliniano, con la sua partecipazione attiva alla stesura del programma dei Fasci Italiani di Combattimento, da cui trarrà linfa il Sindacalismo Fascista. Intanto il 16 Marzo 1919 alla Dalmine si verifica una occupazione, che segna una svolta storica di portata nazionale, l’azione organizzata dal Sindacalismo Rivoluzionario, vede, per la prima volta, attraverso una autogestione operaia, la regolare continuità della produzione e sulla fabbrica sventolare il Tricolore. Comprendendo il valore altamente simbolico di quanto accaduto, tre giorni dopo, lo stesso Benito Mussolini tenne uno storico discorso davanti agli Stabilimenti. Un altro esponente del Sindacalismo Rivoluzionario, Sergio Panunzio, in un articolo del 14 marzo, su “Il Rinnovamento”, rivista fondata da Alceste De Ambris, sottolinea ulteriormente l’esigenza di una rifondazione in chiave corporativa dello Stato e la necessità di una Camera espressione delle classi produttive da affiancare ad un Parlamento politico. Mussolini, confermando la reciproca convergenza su temi ormai comuni, nella riunione di Piazza San Sepolcro del 23 Marzo 1919, afferma:


“L’attuale rappresentanza politica non ci può bastare; vogliamo una rappresentanza diretta dei
singoli interessi, perché io, come cittadino, posso votare secondo le mie idee, come
produttore, devo poter votare secondo le mie qualità professionali. Si potrebbe dire contro
questo programma che si ritorna verso le corporazioni. Non importa. Si tratta di costituire dei
Consigli di categoria che integrino la rappresentanza sinceramente politica”.

(Benito Mussolini)


Nel pieno di quel processo di osmosi tra sindacalismo rivoluzionario e Fascismo, nel settembre del 1919, “la penultima ventura”, l’impresa Fiumana di D’Annunzio e dei suoi legionari, esercita una fortissima attrazione per i sindacalisti rivoluzionari e in ispecial modo per Alceste De Ambris, che nel gennaio del 1920 viene nominato dal Vate suo capo di Gabinetto nel governo della città. Per il “Comandante” e per la “sua” nuova libera repubblica chiamata “Reggenza Italiana del Carnaro” elaborò una innovativa e tuttora attuale carta costituzionale.

La Carta del Carnaro

La Carta del Carnaro, che si ripropone in alcuni articoli della stesura del De Ambris, prevedeva un ampio decentramento amministrativo:

Art. 15 – I Comuni sono autonomi fin dove l’autonomia non è limitata dalla Costituzione ed esercitano tutti i poteri che non sono da questa attribuiti agli organi legislativi esecutivi e giudiziari della Repubblica. l’affermazione della democrazia diretta e il suffragio universale esteso anche alle donne.
Art. 2 – La Repubblica del Carnaro è una democrazia diretta che ha per base il lavoro produttivo e come criterio organico le più larghe autonomie funzionali e locali. Essa conferma perciò la sovranità collettiva di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di classe e di religione; ma riconosce maggiori diritti ai produttori e decentra per quanto è possibile i poteri dello Stato, onde assicurare l’armonica convivenza degli elementi che la compongono.
Art. 21 – La Camera dei Rappresentanti viene eletta a suffragio universale diretto e segreto da tutti i cittadini della Repubblica che hanno compiuto il 20° anno di età.

Il rispetto della proprietà, ma nell’ambito della sua funzione sociale:


Art. 6 – La Repubblica considera la proprietà come una funzione sociale, non come un assoluto diritto o privilegio individuale.


La salvaguardia della sovranità monetaria e del pieno controllo della relativa emissione:


Art. 8 – Una Banca della Repubblica controllata dallo Stato avrà l’incarico dell’emissione della carta-moneta e di tutte le altre operazioni bancarie.

La presenza di una Camera Corporativa e di una Camera Politica, con funzioni diversificate:


Art. 20 – Il potere legislativo è esercitato da due corpi elettivi:
a) La Camera dei Rappresentanti;
b) Il Consiglio Economico.
Art. 22 – La Camera dei Rappresentanti tratta e legifera sui seguenti oggetti che sono di sua
competenza:
a) Codice Penale e Civile;
b) Polizia;
c) Difesa Nazionale;
d) Istruzione pubblica secondaria;
e) Belle Arti;
f) Rapporti dello Stato con i Comuni
Art. 23 – Il Consiglio Economico si compone di 60 membri eletti nelle seguenti proporzioni a
suffragio universale segreto e diretto, col sistema della rappresentanza proporzionale:
– 15 dagli operai e lavoratori della terra;
– 15 dai datori di lavoro;
– 5 dai tecnici industriali ed agricoli;
– 5 dagli impiegati amministrativi delle aziende private;
– 5 dagli insegnanti delle scuole pubbliche e dagli studenti degli istituti superiori;
– 5 dai professionisti liberi;
– 5 da impiegati pubblici;
– 5 dalle cooperative di lavoro e di consumo.
Art. 24 – I membri del Consiglio Economico vengono eletti per un periodo di due anni. Per essere eleggibili occorre appartenere alla categoria rappresentata.
Art. 25 – Il Consiglio Economico si aduna ordinariamente due volte all’anno, nei mesi di maggio e di novembre, per trattare e legiferare sui seguenti oggetti, che sono di sua competenza:
a) Codice Commerciale e Marittimo;
b) Disciplina del lavoro;
c) Trasporti;
d) Lavori pubblici;
e) Trattati di commercio, dogane, ecc.;
f) Istruzione tecnica e professionale;
g) Legislazione sulle Banche, sulle Industrie e sull’esercizio delle professioni e mestieri.
Art. 26 – La Camera dei Rappresentanti ed il Consiglio Economico si riuniscono insieme una volta all’anno nella prima quindicina di dicembre formando l’Assemblea Nazionale, che tratta e legifera sui seguenti oggetti di sua competenza:
a) rapporti internazionali;
b) finanza e tesoro della Repubblica;
c) istruzione superiore;
d) revisione della Costituzione.


La scelta Corporativa viene confermata dall’inserimento del cittadino produttore all’interno di Corporazioni pienamente autonome:


Art. 13 – I cittadini che concorrono alla prosperità materiale ed allo sviluppo civile della Repubblica con un continuativo lavoro manuale ed intellettuale sono considerati cittadini produttivi e sono obbligatoriamente inscritti in una delle seguenti categorie, che costituiscono altrettante corporazioni;
Art. 14 – Le corporazioni godono di piena autonomia per quanto riguarda la loro organizzazione
e funzionamento interno.

Sacro fuoco della rivolta

Con Fiume si chiude una fase della storia d’Italia e del Sindacalismo Rivoluzionario. Dal “Natale di sangue” del 1920, termina la possibilità di una iniziativa autonoma e propulsiva del Sindacalismo Rivoluzionario e si sviluppa un diverso percorso, che porterà alla Marcia su Roma e al trionfo del Sindacalismo Nazionale formula certamente ridimensionata, ma comunque legittima erede del Sindacalismo Rivoluzionario. I sindacalisti rivoluzionari, in larghissima parte, aderirono, prima o dopo, al Fascismo (Angelo Oliviero Olivetti, Sergio Panunzio, Paolo Orano, Ottavio Dinale, Michele Bianchi, Agostino Lanzillo, Edmondo Rossoni, Amilcare De Ambris ecc.) con poche eccezioni, come Alceste De Ambris, che preferì l’esilio. Chiudiamo con una frase di un dirigente sindacale Fascista che esprime quello spirito indomito e l’evoluzione del sindacalismo rivoluzionario in quell’attivismo sociale che contraddistinse tutta l’esperienza di governo del Fascismo fino alla creazione – seppur a tempo ormai scaduto – di quella “Repubblica Sociale” che la gioventù corridoniana cantava sulle note di Giovinezza; uno spirito che mai si estinse: “Per noi il sindacato sta alla rivoluzione come la squadra d’azione all’insurrezione”.

Blocco Studentesco