di Michele
Qualche giorno fa è apparso sul Post un lungo articolo, a firma di Lorenza Pieri e Michela Violante, dal titolo: Storia tossica della letteratura italiana. Scopo dichiarato delle due autrici è quello di mettere in discussione e decostruire l’immagine della donna proposta dalla nostra letteratura per come si studia a scuola, evidenziandone la problematicità. Quasi che tra Boccaccio e Filippo Turetta ci sia solo una differenza di grado.
Le due autrici lamentano che “nelle antologie scolastiche il sessismo, i pregiudizi di genere, le vittimizzazioni secondarie sono una costante”. In altre parole, i classici che si studiano da anni sui banchi di scuola non sarebbero altro che un coacervo di pregiudizi patriarcali e di violenza di genere. Una letteratura che ha anche la colpa di essere fatta da soli uomini: “Le scrittrici sono assenti o relegate al di fuori del «canone»”. Oltre che perpetrare “modelli di relazione” altamente disfunzionali e una “«cultura sentimentale» priva di equilibrio perché espressione di una visione del mondo prettamente maschile”. Concludendo con amarezza che “le figure femminili della letteratura italiana non si sono mai emancipate dai due stereotipi possibili: l’angelo puro o la subdola tentatrice”. Le due autrici ci tengono a precisare che lo scopo non è quello di cancellare o riscrivere i classici del passato, ma solamente quello di tentare uno “sforzo di consapevolezza”.
Non ci vogliamo soffermare sulla lunga lista di autori e casistiche citati nell’articolo, né analizzare punto per punto come le accuse rivolte loro sono per lo più frutto di decontestualizzazioni, interpretazioni parziali, se non addirittura malafede, non riuscendo delle volte nemmeno a vedere gli intenti – siano essi parodistici o al contrario simbolici – di certi autori, e più spesso intestardendosi in letture fin troppo letterali che uccidono lo spirito delle varie opere. Vogliamo invece prendere in esame un omissis piuttosto curioso. Infatti, in questo elenco da Dante a Moravia, che prende in esame il programma scolastico di letteratura italiana in quasi tutta la sua interezza, manca Marinetti. È vero, l’inventore del futurismo è poco approfondito nei manuali di scuola e il più delle volte ci si ferma ai solo manifesti. Tanto è vero che pure un autore come Giordano Bruno Guerri finisce per averne una lettura superficiale e al limite dell’offesa, affermando che “il futurismo non ha lasciato opere letterarie indimenticabili, ma alcuni manifesti sono capolavori”. E pensare che Marinetti di assist alle due attrici ne avrebbe potuti offrire, a partire da quel famoso “disprezzo della donna” espresso già nel primo manifesto del futurismo.
Perché allora non citare Marinetti? Oltretutto le due autrici avrebbero avuto gioco facile tirando in mezzo il fascismo, come nel caso di D’Annunzio, accusato di porsi come “indomito fascinoso eroico conquistatore” e di proporre come unico modello femminile positivo le madri che “a un certo punto figliano per la patria” e per questo sono “sono molto stimate dal fascismo”. Che la visione della donna in D’Annunzio, ma anche nel fascismo, fosse diverse è cosa ovvia, per quanto riguarda il primo basti pensare a un’esperienza come quella fiumana mentre per il secondo possiamo tranquillamente ad un articolo di Adriano Scianca sul Primato Nazionale: “Non terrete più gli occhi bassi”: le donne e il fascismo. Per il Vate, così come per la maggior parte della cultura italiana, un problema effettivamente rimane e proprio Marinetti tentò di superarlo, ovvero l’idealizzazione della donna. Le radici di questa idealizzazione sono nella poesia medioevale, con l’immagine della donna angelicata. Poco importa che dietro questo simbolismo si nascondano significati esoterici o gnostici, rappresentando quindi un’ascesi oltreumana, fatto sta che nel corso dei secoli questa immagine si è via via degradata finendo per perdere i suoi intenti originari. Non più un rimando alla trascendenza, ma un sentimentalismo esasperato.
Qui si inserisce Marinetti con il suo “disprezzo della donna”. Prendiamo in esame un scritto provocatorio come Contro l’amore e il parlamentarismo, dove spiega: “Noi disprezziamo la donna, concepita come unico ideale, divino serbatoio d’amore, la donna veleno, la donna ninnolo tragico, la donna fragile, ossessionante e fatale, la cui voce greve di destino, e la cui chioma sognante si prolungano e continuano nei fogliami delle foreste bagnata di chiaro di luna”. Appunto come il chiaro di luna citato alla fine, la donna è divenuta immagine di un mondo decadente, divenuto astratto, che ha estromesso le energie vitali dell’essere umano e ne ha paralizzato il coraggio. Lungi dal rinchiudersi in una misoginia rancorosa, con il suo solito gusto per la paradossalità Marinetti dalla “condizione attuale di schiavitù, intellettuale ed erotica” della donna deduce che bisogna sostenere il diritto di voto voluto dalle suffragette (siamo nel 1915) perché queste distruggeranno, più o meno consapevolmente, la cancrena del parlamentarismo: “Noi che disprezziamo profondamente i mestieranti della politica, siamo felici di abbandonare il parlamentarismo agli artigli astiosi delle donne; poiché alle donne, appunto, è riservato il nobile compito di ucciderlo definitivamente”.
Tra i maggiori successi commerciali e di pubblico in vita di Marinetti è da annoverare sicuramente Come si seducano le donne, scritto o, meglio, dettato da Marinetti in un periodo di convalescenza durante la Prima guerra mondiale. Criticato all’epoca per la sua licenziosità, oggi probabilmente sarebbe ingiustamente bollato come espressione della “cultura dello stupro”. È invece una critica ai moralismi incapacitanti dell’uno e dell’altro sesso. Così agli uomini consiglia di “avere tutte le qualità di un futurista italiano” se vogliono avere successo in amore, ovvero: “Odiate sistematicamente ruderi, musei, nostalgia, lagrime, professore e tutta la pedantedescheria. Siate originali variati multiformi divinatori pronti coraggiosi temerari interventisti sempre in tutto. Siate italiani, cioè nemici d’ogni sentimentalume d’ogni clericalume d’ogni filosofume e d’ogni sozzalismo”. Questo perché le donne “adorano la forza del più coraggioso, del più eroico”.
Per Marinetti bisogna quindi farla finita con una visione decadente e idealizzata del rapporto fra i sessi. Se l’invito per gli uomini è quello di essere portatori sani di una visione eroica e attiva della vita, l’invito per le donne è quello di abbandonare ogni provincialismo, ogni stanchezza crepuscolare, ogni moralismo ipocrita. In altre parole, il fondatore del futurismo supera di slancio quei due stereotipi, ovvero “l’angelo puro o la subdola tentatrice”. che nell’articolo del Post erano indicati come i soli esistenti nella cultura letteraria italiana. Tutto questo non in nome dei tic nervosi della nostra epoca, che finiscono per produrre nuovi stilemi astratti e dannosi come quelli che vedono in ogni comportamento maschile i segni di una “maschilità tossica”. Ma in nome di una vitalità più autentica e meno astratta. Se allora la letteratura italiana è sbagliata, torniamo a Marinetti.
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