Di Giovanni
Sono gli anni settanta. Due superpotenze rivali ma assai simili tra loro si contendono la supremazia sul mondo intero e in particolare sull’Europa. A est del Vecchio Continente ci sono i bolscevichi, l’Unione Sovietica che dopo aver liberato l’est Europa dal nazionalsocialismo (sempre se di liberazione si può parlare!) ora vi esercita il proprio dominio. L’Europa occidentale invece è caduta nelle mani dei “ liberatori” americani, i capitalisti, la superpotenza rivale dell’URSS. In Italia, nonostante siano passati due decenni e mezzo dall’invasione americana e quindi dalla sconfitta del fascismo, ancora persistono divisioni interne. Da un lato i comunisti, eredi dei partigiani che lottavano per un’Italia socialista e si sono ritrovati sotto l’egida americana. Dall’altro lato i fascisti, i veri sconfitti della guerra civile del 1943-1945. Un clima perfetto per la nascita di nuovi conflitti interni. Ed è proprio in questi anni che il clima di tensione nella Penisola si intensifica a partire dal 1968, l’anno della contestazione e, ancora di più dall’anno seguente in seguito alla prima bomba, la prima di una lunga serie, che scoppierà il 12 dicembre 1969 a Milano. Sono tempi in cui molti giovani vengono uccisi in piazza dallo Stato in seguito a scontri con le forze dell’ordine. Altri invece troveranno la morte a seguito di agguati davanti alla sede del loro movimento, come accadde a due ragazzi la sera del 7 gennaio 1978 in Via Acca Larentia a Roma. Ma gli anni settanta non sono solo il decennio delle bombe e dei ventenni assassinati per un’idea politica reputata sbagliata. In un’Europa e in un’Italia contesa da due superpotenze nasce tra i giovani un fortissimo interesse per la politica. In piena Guerra Fredda diventa infatti necessario per un giovane scegliere se continuare a vivere sotto il dominio americano, abbracciare l’utopia socialista o, ancora, riscattare quell’Italia uscita sconfitta dal secondo conflitto mondiale cercando un’alternativa al fronte rosso e alla reazione. Due sono i principali schieramenti che si delineano tra la gioventù di questi anni. Da un lato abbiamo la sinistra comunista, lo schieramento più numeroso e che gode dell’appoggio di buona parte del ceto intellettuale. I giovani comunisti sono divisi in innumerevoli collettivi, movimenti, organizzazioni autonome spesso in contrasto tra loro. Se c’è un qualcosa che però unisce tutti, dagli stalinisti agli anarchici, è l’antifascismo. Dall’altra parte, per lo più raggruppati sotto il vessillo del Fronte della Gioventù (organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano), troviamo la gioventù fascista. Nonostante siano parte integrante del sopracitato partito, mal sopportano lo spirito conservatore e a tratti reazionario di una buona parte di esso. In questi anni appartenere ad uno dei due schieramenti non vuol dire solo condividerne la visione politica ma abbracciare in toto la visione del mondo del proprio movimento. Significa riconoscersi in una serie di lotte, di miti che seppur lontani nel tempo e nello spazio si riconoscono come propri. Se un giovane comunista cresce col mito della rivoluzione bolscevica, dall’altra parte la gioventù missina si ispira all’impresa fiumana o alle gesta eroiche della Charlemagne a Berlino. Per chi come il sottoscritto è nato nel terzo millennio una gioventù così politicizzata suona come qualcosa di assai lontano. D’altronde in un’epoca come quella attuale in cui la maggior parte dei giovani interessati alla politica si limita a litigare sul web, fa strano immaginare ventenni disposti a muovere le mani per di difendere il loro Ideale o a finire in galera in seguito ad uno scontro con la polizia ad una manifestazione non autorizzata. Chi invece negli anni settanta c’era potrebbe sottolineare, non senza buone ragioni, come la gioventù odierna sia apatica, totalmente disinteressata alla politica e priva di qualsivoglia Ideale al quale dedicare i propri sforzi. Sarebbe altresì sciocco scadere nel nostalgismo criticando gli apatici giovani di oggi senza analizzare l’attuale contesto storico. La generazione nata a cavallo tra gli anni novanta e gli anni duemila non ha sperimentato il mondo multipolare del quale si parlava in precedenza venuto a meno in seguito alla crollo del Muro di Berlino e alla conseguente dissoluzione dell’URSS. La caduta dell’Unione Sovietica non rappresenta solo il trionfo dell’occidente americanocentrico ma sancisce il definitivo fallimento dell’utopia marxista. Crollata un’alternativa reale, seppur molto discutibile, alla democrazia occidentale, questa diviene l’unica visione del mondo plausibile, intollerante verso qualunque altra soluzione prontamente tacciata di essere inefficace o antiquata. Ciò non ha potuto che comportare ad un appiattimento dell’offerta politica. Da espressione di una precisa visione del mondo, i vari partiti, tutti interni alla stessa visione, si sono trasformati in prodotti che l’elettore, divenuto cliente, può scegliere per risolvere un determinato problema ma mai per mettere in discussione lo status quo. Vi è il problema dell’immigrazione! Il partito di destra proporrà maggiori controlli sui flussi migratori al contrario della sinistra che invece suggerirà una linea meno rigida. Nessuno dei due schieramenti però metterà in discussione la legittimità dell’accoglienza di un certo numero di migranti perché si sa, e anche la destra ammette, che l’immigrazione è necessaria al Capitale. Va da se che con uno scenario analogo in cui la politica è ridotta ad un mercato e il partito ad un prodotto il concetto di militanza viene a meno. Nessun giovane metterebbe a repentaglio a propria incolumità senza la fiducia in un’ipotetica e futura rivoluzione. E se i partiti politici tutti figli della stessa visione del mondo democratica e liberale hanno da tempo smesso di parlare di ideologie e rivoluzioni, ecco spiegato il motivo per cui, salvo rare eccezioni, la gioventù si è spoliticizzata. Salvo rare eccezioni, per l’appunto. Esiste ancora una gioventù che crede, che riesce ad immaginare un’alternativa alla visione del mondo dominante e che quotidianamente lotta per affermare la propria Weltanschauung. Questi giovani sono la risposta a chi afferma che le ideologie (e la militanza) siano morte con la fine della Guerra Fredda. Perché, che ne dicano, la Storia non è finita.
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