di Alessia
Lo sport non deve mescolarsi con la politica, a meno che non si possiedono enormi quantità di denaro da investire come l’Arabia Saudita.
Anche quest’anno non è mancata la promessa di ospitare la Supercoppa Italiana nell’Al-Awwal Park Stadium. È tempo di sportwashing per le monarchie del Golfo persico, termine che definisce letteralmente pulirsi la coscienza con un pallone. Ad affermarlo è lo stesso principe Mohammed bin Salman, che continuerà ad avvalersi dello sport per recuperare la reputazione del paese, lesa dalle scorse condotte illecite, oltre che scorse, oramai costanti.
L’1% in più sul Pil vale più di qualsiasi diritto umano, e lo stesso vale per il pubblico e gli appassionati tifosi con i paraocchi pur di godersi lo spettacolo sportivo nello stadio mozzafiato, costato 57 milioni di dollari e qualche centinaio di morti.
#UNROSSOALLAVIOLENZA è lo slogan che ha accompagnato i giocatori di serie A in campo lo scorso novembre. Ci chiediamo se la Lega sia consapevole che un’iniziativa simile replicata in Arabia Saudita sarebbe passibile di arresto. E ci chiediamo quanto sia credibile giocare in campo con un baffo rosa dipinto sul volto e poi negli stadi di un paese dove fino al 2019 alle donne non era concesso guidare, presentare istanza di divorzio, avviare un’attività economica, votare. Uno stato nel quale è ancora concesso il delitto d’onore, la pena di morte e dove un minore o chiunque può rischiare l’esecuzione per un tweet sui social.
Ma lo sport non deve mischiarsi con la politica.
Dal 2017 Human Rights Watch ha documentato un’intensificarsi della repressione nel paese in seguito all’ascesa al potere del principe ereditario, attraversando uno dei periodi peggiori in materia dei diritti umani nella storia moderna del paese. Nonostante le riforme, gli abusi ancora in corso dimostrano come lo stato di diritto in Arabia Saudita rimanga estremamente debole.
In un’intervista a Fox News, il principe ereditario Bin Salman è stato chiaro
…non mi interessa quello che pensano gli altri. Ho una crescita dell’1% del Pil grazie allo sport, e punto ad un altro 1,5%. Se lo sportwashing aumenterà ulteriormente il mio Pil, continueremo su questa strada.
Stare al gioco dello sportwashing significa scegliere di diventare una pedina della propaganda e alimentare l’obiettivo dei paesi del Golfo di ripulire la propria immagine dai crimini commessi, scappando dalle accuse.
Secondo Amnesty International lo scorso anno il re del Bahrein ha lautamente pagato l’intitolazione a sé stesso di una cattedra dell’Università La Sapienza di Roma e quest’anno c’è mancato poco che l’Arabia Saudita entrasse nel consiglio di amministrazione della Fondazione del Teatro La Scala di Milano.
L’organizzazione dei massimi eventi sportivi sembra ormai essere nelle mani dell’Arabia Saudita che oggi punta ad ospitare l’EXPO 2030, il mondiale di calcio del 2034 e addirittura i mondiali femminili 2035.
L’Arabia Saudita vi aspetta davanti agli schermi, senza mischiare lo sport con la politica.
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