di Michele
Per una strana coincidenza nel mese di gennaio l’attenzione del dibattito pubblico è stata monopolizzata dal tema dei saluti romani. Prima le polemiche relative alla commemorazione di Acca Larenzia, poi la sentenza della Cassazione proprio sulla punibilità o meno del saluto romano. Per la delusione dell’antifascismo più trinarciuto, la Corte ha stabilito che per essere reato il saluto romano deve “integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione”, in questo caso si applica la Legge Scelba, oppure deve prevedere una condotta discriminatoria e razzista, in questo caso si applica invece la Legge Mancino. Insomma, fare il saluto romano durante eventi come commemorazioni e quant’altro non è punibile per legge.
In un simile dibattito non potevano mancare gli appelli fideistici alla Costituzione, evocata come garanzia di antifascismo e limite invalicabile. L’argomento è il solito: sulla Costituzione si fonda l’identità politica degli italiana e la Costituzione è antifascista (anche se lo è implicitamente, in quanto scritta da antifascisti, mentre nella carta costituzionale non c’è un’affermazione esplicita di antifascismo, che anzi non viene mai citato), quindi il fascismo è fuori dal perimetro democratico e deve essere messo al bando. Nonostante le allucinazioni della sinistra, la Costituzione prevede anche la libertà di opinione e di espressione, cosa che rappresenta un ostacolo concreto a chi voglia mettere fuori legge il fascismo. Tant’è che, per accontentare questi pruriti censori, leggi come la Scelba e la Mancino hanno dovuto trovare formulazioni a dir poco fantasiose e contorte.
Un’ambiguità che troviamo anche nella XII disposizione transitoria e finale, la quale viene usata invece come pretesto e fondamento di qualsiasi proibizione del fascismo, nonostante la disposizione dica ben altro. Ma non è questo il tema che ci interessa. La questione che vogliamo affrontare è un altra: cosa ci dicono i tic nervosi della sinistra ogni volta che si parla di Costituzione?
Non si è mai abbastanza a sinistra per salvarsi dalle accuse di essere un redivivo Duce quando si mette in discussione la carta costituzionale. Basti pensare come venne trattato un personaggio come Renzi quando tentò una riforma della Costituzione. Una fissazione che non si spiega però per i contenuti. A valere qui è una certa riverenza sacrale o, meglio, un certo feticismo per la Costituzione. L’importanza di questa non è quello che afferma, anzi più ci si addentra in questa fascinazione per la Costituzione più si perde il senso del suo contenuto. Appunto un feticcio, che viene preso non per quello che è in sé ma per un qualche significato nascosto. Per l’antifascismo la Costituzione dovrebbe rappresentare il fondamento di quella religione laica della Patria, che però messa in mano alla sinistra diventa mito incapacitante.
Ci sono ragioni profonde per questa contraddizione, come il carattere antinazionale delle forze che hanno composto l’antifascismo e il fatto che fu proprio il fascismo a coinvolgere le masse nella vita della nazione. Ma concentriamoci sul tema della Costituzione. Come nota il giurista tedesco Carl Schmitt, parlando del clima politico che è seguito alla Rivoluzione francese, “le principali argomentazioni controrivoluzionarie” si riassumono nel “rifiuto dell’idea che il diritto e lo Stato sorgano dall’attività pianificata del singolo individuo”. In altre parole, “le più importanti istituzioni statali, soprattutto le costituzioni […] devono nascere da sé, nel corso del tempo, dalla situazione dei rapporti, dalla natura delle cose, delle quali nondimeno sono il prodotto razionale, non la causa. Ciò significa che le costituzioni seguono consuetudini e rapporti di forza, non il contrario. Non riconoscerlo equivale al tentativo assurdo di “racchiudere per forza la realtà dentro schematismi astratti”.
Tra gli autori controrivoluzionari citati da Schmitt c’è anche Joseph de Maistre che al tema aveva dedicato anche un breve testo: Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche e delle altre istituzioni umane. Qui il savoiardo spiega come “la costituzione è l’opera delle circostanze, e il numero di queste circostanze è infinito”, pertanto “certamente essa non è stata fatta a priori”. Sono gli elementi più disparati e la prova dei secoli a forgiare il carattere di una nazione e conseguentemente le sue istituzioni. Da buon legittimista, de Maistre ritiene che questa infinità di combinazioni venga ordinata da una forza sovrumana, cioè Dio. La prova del buon funzionamento di una istituzione è la sua durata, in altre parole la sua storia. Ma appartenendo più allo spirito di un popolo che alla lettera, le costituzioni non si esauriscono nella loro forma scritta e anzi preesistono a questa: “Proprio ciò vi è di più fondamentale ed essenzialmente costituzionale nelle leggi di una nazione non potrebbe mai essere scritto”.
Questa breve divagazione nel pensiero controrivoluzionario ci dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, l’impossibilità e la contraddizione di voler fare della Costituzione il fondamento dell’identità italiana. A maggior ragione se si vuole portare avanti l’equazione tra Costituzione e antifascismo. Anzi, proprio il fatto che una certa parte politica si ostini a pensare la Costituzione come uno strumento adatto a coinvolgere e rappresentare il popolo, ci dice molto della sua poca intelligenza. È un po’ come voler invertire causa ed effetto o voler far nascere un bambino semplicemente scrivendone il certificato di nascita. In fondo, è la pretesa di voler sostituire la vita con qualcosa di astratto.
Commenti recenti