Di Michele
Dato alle stampe nel 1922, quando cioè il nuovo nazionalismo incarnato dal fascismo sopravanzava e superava il nazionalismo stesso (di fatto inglobandolo l’anno seguente), L’unità e la potenza delle nazioni è il capolavoro di Enrico Corradini che del nazionalismo e dell’Associazione nazionalista italiana (Ani) fu la principale voce. Dopo quasi un secolo dalla sua prima pubblicazione, torna disponibile al lettore grazie a una nuove edizione di Altaforte, curata da Corrado Soldato e con una postfazione di Valerio Benedetti. In un periodo storico come il nostro in cui l’idea stessa di nazione è ridotta a una macchietta, il libro di Corradini ha un effetto risanante. Non solo per trovarvi un antidoto alla globalizzazione e allo sradicamento che trascina con sé, ma anche per ritrovare nel nazionalismo una forza viva.
Per una strana distorsione ottica, anche chi vede nei sentimenti nazionali qualcosa di positivo è finito spesso per depotenziarlo e svilirlo. Da quelli che oppongono nazionalismo e patriottismo per incolpare il primo di tutti i mali possibili, passando per quelli che vedono in esso un principio d’ordine, un qualcosa di spoliticizzante, una stanca conservazione di ciò che è già data, insomma un punto fermo irenico che vale come rifugio di buon senso per persone invecchiate anzitempo. Opinione che è poi quella di un Furio Jesi, il quale nel suo infamante Cultura di destra descrive come strategia fondante del pensiero politico di destra l’uso del passato come pappa omogeneizzata: “Gli elementi culturali sono per così dire omogeneizzati: in questa pappa, dichiarata preziosa, ma anche digeribile da tutta la classe mediamente istruita, non ci sono più veri contrasti, vere punte, spigoli e durezze”. Una semplificazione del passato e – aggiungiamo noi – dell’eredità nazionale che vale come smobilitazione e pacificazione.
Al contrario, per Corradini la nazione è un qualcosa di dinamico, conflittuale, proiettato all’infuori sia nel tempo che nello spazio: “In ogni nazione il principio di unità e il principio di lotta coagiscono. Quando si sopprima il primo, la nazione è soppressa. Quando si sopprima il secondo, è soppressa la storia di ogni nazione”. Per dirla in altra parole, la nazione è unità ed è anche movimento. Anche nel suo essere fattore unificante il nazionalismo non deve essere culto museale del passato o adorazione delle ceneri, ma è “il ritorno alla comprensione spirituale della vita delle nazioni”. Con la comprensione che quest’ultima “è tutta una lotta”. Troviamo qui alcuni termini chiave come spirito, vita, e lotta, che fanno un tutt’uno.
Vero punto di partenza di Corradini è quello di una “resurrezione dello spiritualismo” contro razionalismo e materialismo. Questi ultimi sono fattori di decadenza, i quali “diminuiscono il mondo in quantità e qualità”. Insomma, ancora prima che fatto politico il nazionalismo è un tentativo di superare lo svuotamento di senso del nichilismo europeo. Ma lo spirito invocato da Corradini non è una sorta di dualismo contro la realtà del corpo o di rifugio in un sovramondo astratto, quanto piuttosto accrescimento della virtù e della vita stessa.
Massima espressione per la nazione di questa “potenza della vita” è l’impero. Quest’ultimo è il naturale sfogo dello Stato nazionale, il quale “di continuo sviluppa e tiene l’unità della nazione e ne pone in movimento e conduce la potenza”. In altre parole, le tensione interne vengono rivolte all’esterno: “Lo Stato porta la nazione alla lotta del mondo, perché nel mondo raggiunga il suo sviluppo che è l’impero”, in quanto “la forza dentro è libertà di agire fuori”. Ciò non risponde solamente a una volontà di conquista e di espansione, ma è anzi necessario affinché l’unità nazionale non porti a imbalsamare le forze vive della nazione né che queste ultime degenerino in lacerazioni intestine. Contro l’equazione comune tra imperialismo e guerra, Corradini nota come la scelta sia tra guerra esterna e guerra civile, tra pólemos e stásis: “quando si vuole la guerra interna si è pacifisti”. Una distinzione tra l’essere attivi o l’essere passivi nel mondo che va oltre il semplice dato militare. Per questo motivo, “la sovranità è nell’unità” e da qui deve cominciare “il rinnovamento della civiltà politica”.
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