Intervento di Clotilde Venner al Convegno “Giorgio Locchi: l’intellettuale, il filosofo, il risvegliatore”, tenutosi il 25 novembre 2023 a Palazzo Sanizi di Rieti. Traduzione dal francese di Pierluigi Locchi.
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Due percorsi diversi, ma una conclusione comune: la storia è il luogo dell’imprevisto ed è fatta dagli uomini. Due riflessioni che aiutano a combattere l’atteggiamento del “tutto è andato a rotoli” che si sente spesso nei circoli di destra e contro il quale Dominique ha sempre inveito. Ma prima di sviluppare questa idea dell’imprevisto, vorrei tornare all’itinerario di Dominique e al suo rapporto con la storia.
Dominique e la storia
Dominique si è interessato alla storia per diversi motivi. Come spiego nel mio libro (A la rencontre d’un coeur rebelle, “Incontro con un cuore ribelle”), Dominique ha avuto tre vite: una prima in cui fu attivista politico, una seconda più meditativa che io chiamo il suo “passaggio al bosco”, e una terza in cui divenne lo storico che conosciamo. Lo studio della storia, credo, assunse tutta la sua importanza quando abbandonò la politica, alla fine della sua prima vita. Questo suo ritiro dalla politica, Dominique Venner lo ha vissuto come una piccola morte. Per superare questa prova, si ritirò in campagna, mise su famiglia e per circa quindici anni si dedicò alla scrittura di libri sulla storia delle armi, ma allo stesso tempo lesse, metodicamente e intensamente, soprattutto opere storiche. In tutti questi anni, non ha mai smesso di porsi la domanda “cosa fare” e “cosa trasmettere”. Ed è nello studio della storia che ha trovato alcune risposte. La storia, se interrogata con un pensiero attivo, è una fonte inesauribile di riflessione. I critici dissero che Venner non era uno storico accademico: certo, ma egli fu un pensatore della storia. Il suo atteggiamento nei confronti della storia era quello di un pensatore, non di uno studioso interessato ad aneddoti o dettagli insignificanti. Fu lo studio della storia che gli permise di comprendere la crisi di civiltà e di senso che i popoli europei stanno attraversando. E non smise mai di voler dare, attraverso numerose opere storiche, una risposta a questa crisi di senso; due libri in particolare mi vengono in mente: Histoire et Traditions des européens e Le Samouraï d’Occident.
Pensare con la storia
Con il passare degli anni, studiando la storia e meditando su di essa, Dominique giunge all’idea che la storia sia il luogo dell’imprevisto permanente, ed in questo si unisce alla visione di Giorgio Locchi sul fatto che la storia è aperta. L’aspetto interessante dei loro due itinerari intellettuali è che sono giunti alle stesse conclusioni per vie completamente diverse. Dominique era stato in gioventù un attivista che aveva trascorso un periodo in prigione; poi, storico riconosciuto (gli fu conferito il Premio accademico di Francia), non ha mai smesso di interrogarsi sugli eventi che cambiano il corso della storia (Histoire du Terrorisme, Imprévu dans l’histoire). Ed era molto consapevole del ruolo delle minoranze attive negli sconvolgimenti politici (ritratto di Lenin in L’imprévu dans l’histoire). Dominique, come Locchi, credeva che la storia fosse opera degli uomini e non di una provvidenza qualsiasi. Mi diceva spesso che è facile analizzare gli eventi una volta che sono accaduti – ad esempio la caduta del muro di Berlino – ma è più raro prevederli. Questa nozione d’imprevisto nella storia, invece di rendere Dominique pessimista, lo rendeva in qualche modo ottimista, di certo non nel senso di un “beato ottimismo”, ma nel senso che nulla è mai fissato nella pietra. In qualsiasi momento, una situazione bloccata, apparentemente senza speranza può cambiare. Questo significa che non dobbiamo mai disperare, perché anche le situazioni più tragiche sono soggette a cambiamenti. Per esempio, nel 1970 nessuno immaginava il crollo del potere sovietico. Nel 1913 nessuno prevedeva la conflagrazione europea che si sarebbe verificata nel 1914 (come ben analizza Dominique in Le Siècle de 1914). Il pessimismo assoluto e il beato ottimismo sono ugualmente stupidi, perché nulla è mai definitivo, né buono né cattivo. Le lagne piagnucolanti come il pessimismo onanico, la prolissità come il pessimismo gioioso lo esasperavano a dismisura. Questo tratto si ritrova in certi ambienti di destra. Per tutta la vita non ha smesso di combattere contro questo stato d’animo. Credeva che queste posizioni fossero spesso una copertura per una forma di pigrizia e di codardia. Quando dico che Dominique era un ottimista, non intendo dire che non fosse più che consapevole che la storia è tragica. Se dovessi definire la sua concezione della storia, direi che era un tragico-ottimista, un concetto un po’ ossimorico che riassume bene il suo pensiero. Ma voi mi direte: come si può essere ottimisti quando si studia la storia dell’umanità che è un continuo susseguirsi di orrori? È vero che nel corso della storia le persone attraversano prove e tragedie che minacciano di annientarle, ma allo stesso tempo questa stessa storia rimane sempre aperta, non è mai statica, mai ferma, è ciò che le persone ne fanno, ha il significato che noi le diamo. E proprio qui raggiunge Giorgio Locchi. Ecco perché Dominique scrive alla fine di Le choc de l’histoire: “Per quanto riguarda gli europei, tutto dimostra, a mio avviso, che saranno costretti ad affrontare in futuro sfide immense e catastrofi spaventose, e non solo quelle dell’immigrazione. In queste prove, avranno l’opportunità di rinascere e di ritrovare sé stessi. Credo nelle qualità specifiche degli europei che sono temporaneamente dormienti. Credo nella loro individualità attiva, nella loro inventiva e nel risveglio della loro energia. Il risveglio arriverà. Quando arriverà? Non lo so. Ma non ho dubbi che arriverà”. L’Europa vive un momento tragico, una prova che ci può distruggere ma che è anche portatrice di speranza. Io sono Francese, e debbo dire che sono convinta che la Francia sarà l’ultima nazione europea ad essere “liberata”. Oggi è soprattutto in Europa dell’Est che si incontrano un’energia, un coraggio ed una coscienza adeguati.
L’imprevisto nella storia
Dominique aveva letto con attenzione Marx, Spengler ed Evola, trovandovi alcune idee interessanti, ma il suo pensiero era lontano da qualsiasi forma di teleologia storica, e in questo era molto vicino a Giorgio Locchi. Non credeva che la storia avesse un senso o obbedisse a cicli; considerava che fossero gli uomini a fare la storia, una sorta di pensiero “volontaristico” di cui lui stesso avrebbe potuto scriverne la teoria: una “teoria della volontà”. In Le choc de l’histoire scrive: “D’altra parte, posso criticare le teorie che erano di moda all’epoca di Marx e Spengler. Ognuna nel proprio registro, negavano la libertà degli uomini di decidere del proprio destino”. Una libertà che va di pari passo alla libertà di distruggere come di costruire. Per chiarire meglio il suo punto di vista, vorrei prendere in prestito una frase del sociologo Michel Maffesoli: gli eventi ci sembrano spesso imprevedibili perché “non sappiamo ascoltare l’erba che cresce”. I grandi eventi storici sono il più delle volte il frutto di una maturazione sotterranea, invisibile ad un occhio inesperto. Per Dominique quindi era molto importante saper ascoltare l’erba che cresce in Europa perché è proprio questa musica che può preannunciarci quel che sarà. Un altro elemento importante per Dominique è la nozione di “rappresentazione”. Per lui, gli esseri umani vivono e si distinguono attraverso le loro rappresentazioni (religiose, politiche, estetiche). Queste rappresentazioni sono universali quando riguardano le funzioni vitali dell’essere umano, ma sempre diverse quando si tratta della concezione dell’amore, del rapporto tra l’uomo e la donna, o della morte, sempre differenti da cultura a cultura, da una civiltà all’altra. E se vogliamo comprendere i grandi fenomeni storici, dobbiamo studiare le mentalità. È quel che lui fa proprio in Le Siècle du 1914 – il mio preferito – dove analizza con grande finezza le grandi ideologie del XX secolo – Fascismo, liberalismo, immigrazionismo (sì, per lui è una vera e propria ideologia) – e il modo in cui hanno influenzato il corso del destino dell’Europa.
Differenza di approccio con Giorgio Locchi
L’approccio di Dominique è molto meno astratto e meno filosofico di quello di Giorgio Locchi. In molti dei suoi libri, Dominique si dedica a ritrarre uomini e donne eccezionali. Questi ritratti avevano diverse funzioni. La prima era quella di dare corpo agli eventi. Nel libro che ha dedicato a Jünger (Un autre destin européen), ha scritto un lungo ritratto di Stauffenberg. Penso che, evocando la vita dell’ufficiale, ci dia una visione interna all’opposizione di parte dell’aristocrazia tedesca a Hitler. Nei suoi libri ci sono anche molti ritratti di donne, bellissimi ritratti che ritengo abbiano un ruolo educativo come figure “esemplari” nel senso latino del termine, nel senso di Plutarco e delle sue “Vite di uomini illustri”. Penso ad esempio a quelli di Charlotte Corday e di Madame Lafayette in Histoire et Traditions del européens, così come ai ritratti di Penelope ed Elena in Le Samouraï d’Occident, che ci mostrano cosa significa essere una donna europea. Il ritratto per Dominique Venner ha una funzione precisa: farci sentire, farci avvicinare ed immedesimare in queste figure esemplari.
Cosa ci può apportare la storia
In questi tempi bui e decadenti, credo che abbiamo bisogno di modelli a cui aggrapparci e queste evocazioni di personaggi storici possono essere una grande fonte d’ispirazione: perché ci raccontano come i nostri antenati hanno amato, sofferto e superato le tragedie della storia. È anche per questo che Dominique non perdeva mai occasione per fare conferenze ed incontri con i giovani. Oggi, di fronte a famiglie distrutte dall’assenza di figure di riferimento, leggere di questi personaggi diventa prezioso per riannodare i fili di cosa vuol dire “vivere” ed “essere” europei. La riflessione filosofica è necessaria per armarsi intellettualmente ed è per questo che il lavoro di Giorgio Locchi è importante, così come diventa importante il bisogno di proiettarci “immaginativamente” nella vita dei nostri antenati. Direi quindi che Giorgio Locchi e Dominique Venner sono due autori complementari: due facce della stessa medaglia, per usare un’immagine che richiama il Dio Bifronte dei romani, Giano. Due figure sui cui possiamo contare per “combattere ciò che ci nega”, per usare le parole di Dominique.
Blocco Studentesco
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