di Alessia
A Gaza non c’è cibo e non c’è acqua.
Così dal 7 ottobre il governo israeliano sta deliberatamente aggravando la sofferenza dei civili, tagliando l’acqua, (l’agenzia Reuters ha riportato che in assenza di acqua potabile in molti hanno bevuto acqua salata), elettricità che tiene legati alla vita 120 neonati nelle incubatrici, molti dei quali attualmente già privi di monitoraggio e carburante, necessario per i generatori degli ospedalieri di cui 1/3 fuori uso a causa dei bombardamenti, la distribuzione degli aiuti, e la ricerca dei civili intrappolati sotto le macerie.
Ai sensi della Convenzione di Ginevra, Israele ha l’obbligo di garantire ai civili beni di prima necessità, e come parte del conflitto armato, deve facilitare la consegna di aiuti umanitari.
Solo il 24 ottobre, l’esercito israeliano ha permesso a circa 60 camion di rifornimenti delle Nazioni Unite di entrare attraverso il valico di Rafah con Gaza. Una goccia nell’oceano, molto meno dei camion che l’organizzazione ritiene necessari in proporzione alla crisi umanitaria in atto, ovvero circa 100 camion al giorno di aiuti umanitari, bloccati al confine di Rafah per ‘questioni di sicurezza’.
Negli ultimi mesi Israele ha negato, contro ogni diritto internazionale, il passaggio di aiuti umanitari ad oltre 2 milioni di persone di cui ricordiamo, più della metà sono bambini, perché si sa che a Gaza si è destinati a morire giovani.
2 milioni di persone di cui Israele continua a controllarne i confini, le acque territoriali, il registro della popolazione e il sistema fiscale, e di cui ha dunque obblighi legali.
Come però annunciato nei scorsi mesi, il primo ministro Benjamin Netanyahu non è intenzionato a perseguire i suoi obblighi e sta punendo i civili per gli scorsi attacchi di Hamas usando come armi di guerra la fame e la sete.
Gaza oggi è in una piena crisi umanitaria.
Non permetteremo l’assistenza umanitaria sotto forma di cibo e medicinali dal nostro territorio alla Striscia di Gaza
Tra le molteplici leggi, il diritto internazionale umanitario richiede che nei conflitti, in tutte le parti, sia necessario distinguere i combattenti dai civili, che mai dovrebbero diventare obiettivi militari, e che anzi sia necessario adottare per loro ogni precauzione per ridurre al minimo i danni.
Oggi, come da molti anni, a Gaza accade esattamente l’opposto. Gli attacchi aerei e missilistici prendono di mira i civili, violando indiscriminatamente le leggi internazionali. D’altra parte, l’uccisione di civili israeliani e la loro presa in ostaggio da parte di Hamas, sono considerati ugualmente crimini di guerra.
Nelle scorse settimane il ministero della Sanità a Gaza ha dichiarato che più di 14.000 persone, di cui almeno 5.000 bambini, siano state uccise e colpite volontariamente dall’inizio degli attacchi a partire dal 7 ottobre. Secondo il governo israeliano, dal 7 ottobre sono stati uccisi circa 1.400 israeliani.
Da ottobre ad oggi, Israele ha bombardato ininterrottamente la striscia di Gaza, che sappiamo essere densamente popolata, riducendo in macerie quartieri, ospedali, campi profughi.
Nel corso degli attacchi è stato impiegato fosforo bianco sui civili, proibito dalla Convenzione sulle Armi Convenzionali e impiegato anche nel 2009 durante l’operazione piombo fuso.
Oggi come mai, la comunità internazionale dovrebbe impegnarsi a far rispettare le convenzioni internazionali e le risoluzioni ONU, oltre che scendere a compromessi con Hamas per cessare gli attacchi missilistici contro le comunità israeliane e rilasciare i civili detenuti.
80 anni in una prigione a cielo aperto hanno fatto sì che tra i due milioni di civili sopravvivessero solo i peggiori.
Israele dovrebbe cessare le azioni militari che hanno il solo scopo di potenziare Hamas per aver il pretesto di invadere Gaza e uccidere i civili, che sempre di più appoggeranno il terrorismo di Hamas perché dimenticati dalla comunità internazionale. E dovrebbe soprattutto essere disposta a iniziare un processo di suddivisione di due territori per creare un contesto tale per cui possano esistere due Nazioni entrambe riconosciute.. ma su questo la storia passata non ci fa ben sperare.
L’unico piano di spartizione della Palestina che la storia ricordi (1947) fu in realtà un piano truffa adottato dall’ONU, che propose una spartizione della Palestina illecita, che li avrebbe uccisi economicamente, sottratto le terre valide e tagliato tutti i collegamenti utili per i commerci. Il piano prevedeva il 56% dei territori destinato agli ebrei, che rappresentavano il 33% della popolazione, il 42% agli arabi, che erano la maggioranza della popolazione. Il piano impediva inoltre agli arabi collegamenti con l’Egitto, sbocchi sul mare, il porto di Haifa, l’80% delle terre coltivabili, il Negev destinato agli israeliani, che all’epoca ospitava 90 mila beduini e 600 ebrei.
Non c’è più tempo né le condizioni politiche e sociali per pensare di disconoscere Israele e riconoscere solo lo Stato palestinese, pensare il contrario vorrebbe dire accettare la morte di 2 milioni di vite in bilico.
Ma finché la narrativa proposta dai media sarà basata su un modello volto a giustificare la pulizia etnica dei palestinesi per difendersi dall’ennesimo tentativo di annientamento, mai riusciremo a uscire da questa spirale di terrore.
Più di 200.000 civili hanno lasciato il nord di Gaza per ordine dell’esercito israeliano; sono anziani, bambini, malati, cadaveri, mutilati.
Una nuova Nakba ha inizio.
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