Di Andrea
Il rapporto tra la figura di Benito Mussolini e quella del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche ha caratterizzato l’intera parabola politica del futuro Duce e di conseguenza dello stesso fascismo. La scoperta del pensatore originario di Röcken (oggi municipalità della città di Lutzen) - piccolo villaggio della Prussia meridionale - ha trovato diverse difficoltà, arrivando al grande pubblico praticamente in concomitanza al suo tracollo psichico e divampando poi come un incendio incontrollabile in seguito alla sua morte. Mussolini, nel periodo in cui le tesi di Nietzsche iniziano a circolare, è immerso nel variegato ambiente di un socialismo scalpitante a livello culturale e permeato da diverse influenze: già nel periodo passato in Svizzera nei primi anni del ‘900 come agitatore socialista, entra in contatto con le tesi nietzschiane auto-tradotte direttamente dal tedesco, per poi coltivare il suo interesse sempre maggiore anche una volta ritornato in Italia, dove nel 1908 scriverà "La Filosofia della forza", un pamplhet nel quale discuterà direttamente il pensiero del filosofo tedesco. L’indiscutibile influenza che Nietzsche ebbe sia sul fascismo, inteso come unica vera “volontà di potenza” in Europa, sia sulla stessa “ideologia mussoliniana” non fu mai nascosta; lo stesso Mussolini, durante un’intervista rilasciata al New York Times nel 1924, affermò come le opere di Friedrich Nietzsche lo avessero "guarito" dal socialismo e di conseguenza gli avessero fatto aprire gli occhi sull’ipocrisia degli uomini di stato. Mussolini può essere considerato a buon diritto l’unico politico di rilievo realmente nietzschiano, il quale non smise mai di rifarsi alle idee del pensatore anche dopo il periodo più turbolento di giovane rivoluzionario: basti ricordare che durante l’esperienza alla guida dell'Italia, venne portato avanti dal Capo del Governo in persona un sostegno attivo all’Archivio Nietzsche, curato nel tempo dalla sorella Elisabeth Förster-Nietzsche: negli anni '20 infatti la Germania è messa in ginocchio da crisi economica ed inflazione e la sorella che vive dei diritti delle opere del fratello stenta a trovare mecenati. Un giorno però si presenta alla sua porta l'ambasciatore italiano a Berlino Giovanni Bosdari. Con sè porta mille marchi e un messaggio del Duce per Elisabeth: "Sua Eccellenza Presidente del Consiglio italiano le manda a dire che il Fascismo si basa sugli insegnamenti di Federico Nietzsche: onore, disciplina, autocontrollo; questa è la prima volta che un filosofo ha avuto così straordinario effetto sulla politica di un paese". Oltre che non rinnegare mai l’influenza di Nietzsche nella genesi del pensiero fascista, quindi, c'è una rivendicazione più che eloquente da parte di Mussolini. Non è un caso che fece lo stesso con la famiglia Sorel, offrendosi di riqualificare il monumento funerario del pensatore ed agitatore socialista francese. Il Fascismo insomma, sapeva benissimo dove trarre le sue origini ideologiche.
La filosofia della forza
Come abbiamo visto, fin dalla sua giovinezza Mussolini si lasciò trasportare dal fascino del pensiero dinamitardo del filosofo di Rocken, così come magistralmente esemplificato in un suo scritto del 1908, periodo del Mussolini fervente agitatore di scioperi sindacali e sempre rincorso dalla legge, intitolato appunto La filosofia della forza, sul pensiero di Nietzsche, il quale, come sottolineato precedentemente, incarna la radice della visione del mondo del politico romagnolo: le poche pagine sul tema nascono come postille ad una conferenza tenuta dall’Onorevole Treves, dove il futuro Duce viene illuminato dalle teorie nietzschiane. Friedrich Nietzsche viene visto come “il germe e la ragione di ogni rivolta e di ogni atteggiamento morale e politico” che, scatenando la volontà di potenza del suo superuomo, riesce nell’intento di spazzare via la società e slegarsi finalmente dalla fatalità della “legge della solidarietà universale”, riuscendo così a trovare l’individuo spogliato dalle catene della vecchia morale dei mediocri, “l’uomo duro” che riesce a vivere al di là del bene e del male. In questa postilla si ritrova uno straripante Mussolini anticristiano che avvertendo in Nietzsche un sentimento profondamente antitedesco, contrario alla pedanteria e religiosità teutonica, si scaglia contro l’etica giudaico-cristiana attribuendo alla stessa l’inversione dei valori morali, la vendetta degli schiavi, “l’imbestiamento da gregge” a cui sta correndo incontro l’Europa. Quella che Giorgio Locchi definirà “tendenza egualitaria”, una visione che secondo il filosofo romano, da Cristo a Marx traccia la linea per il raggiungimento dell’ultimo uomo. In Mussolini quindi Roma si oppone a Gesù di Nazareth: è il diritto del più forte contro la morale dell’uomo comune, mentre riconosce nel Cristianesimo come il trionfo della rassegnazione e della rinuncia. In questo la volontà di potenza del superuomo, la forza dell’individuo, sputa in faccia ad ogni usanza servile per creare nuovi valori “creare nuovamente tutto ciò che fu”. Mussolini vede nel superuomo nietzschiano la constatazione del naufragio dello spirito europeo sotto la tempesta dell’uguaglianza, dalla volontà del nulla, dagli scrupoli metafisici e da chi crede ancora nella Verità, intesa come assunto dogmatico: “Il superuomo non conosce altro che la rivolta. Tutto ciò che esiste deve essere abolito!”. A differenza della concezione umanista ed egualitaria di kantiana memoria, che intende l’uomo come fine, Mussolini nel testo, così come Nietzsche, intuisce invece l’umanità come una condizione che deve essere oltrepassata necessariamente, un mezzo e un ponte verso qualcosa di nuovo. La profonda massima lasciata dal filosofo, secondo l’allora giovane agitatore socialista, è una: Creare! Secondo lo storico Ernst Nolte sarà proprio la “speciazione” anticristiana e il ritorno del pensiero rivoluzionario ad uno scopo più originario, a portare in luce un socialismo nuovo, anticristiano e quindi antiparlamentare ed antidemocratico: la singolarità Fascista, la stella nata dal caos magmatico della fucina europea di inizio novecento.
Vivere pericolosamente
La matrice nietzschiana è sempre stata considerata dallo stesso Mussolini come fondamentale per l’intera ideologia fascista, quella che “è stata e sarà la più audace, la più originale e la più mediterranea ed europea delle idee” è intrisa di quella spinta vitalistica e spregiudicata che appartiene in pieno alla visione di Nietzsche. Il nesso che lega in modo ancora più intimo il filosofo all’esperienza fascista è quella volontà creatrice capace di plasmare l’uomo nuovo in un tempo nuovo, la fede in un divenire storico in continuo movimento nel quale l’individuo può essere realmente libero e senza il peso di una moralità statica, dogmatica e smobilitante. Il Duce, più volte riprese espressioni condite da echi nietzschiani come vere e proprie parole d’ordine della sua idea di politica e di vita, affermando come il “vivere pericolosamente” del filosofo tedesco fu il colpo di clava scagliato contro la concezione di vita borghese affinché l’uomo superi sé stesso, pronto a qualsiasi cosa per difendere la patria e l’idea. Il fascismo, secondo il suo stesso creatore, sarebbe riuscito ad andare addirittura oltre i dettami del filosofo, portando a compimento la sua opera e così facendo, trasformando l’uomo nietzschiano nell’essenza stessa dello Stato Etico instaurato in seguito alla Rivoluzione, arrivando quindi a concepire un intero Stato nietzschiano, vittorioso sul fatalismo delle dottrine liberali e borghesi, oltre che sulle ultime ipocrisie convenzionali e moraliste. L’azione politica del fascismo, soprattutto nella sua volontà creatrice, nel suo progetto nazionale ed antropologico che voleva trasformare l’Italiano in un costruttore d’Imperi, ha davvero avuto in Nietzsche una delle principali bussole d’orientamento e con il quale noi, dobbiamo tornare a respirare l’aria limpida delle vette.
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