di Patrizio
In questi ultimi giorni, la ghigliottina della cancel culture si è fatta notare in tre diverse situazioni.
La prima, forse meno rilevante, è l’esclusione del giornalista Filippo Facci, appena nominato alla Rai, per delle sue precedenti uscite sui meridionali, le donne e gli immigrati (Facci che, però, andava bene quando faceva l’elogio del green pass, ricordiamo).
La seconda, ha riguardato il tentativo, da parte di dodici associazioni antifasciste, di rimozione del giovanissimo direttore d’orchestra Beatrice Venezi, consigliere del ministro della cultura Sangiuliano (uno dei più importanti in Europa e ancora in rampa di lancio), dalla guida del concerto previsto per Capodanno all’Opera di Nizza, a cui la mitica Venezi ha risposto con un eloquente sondaggio su Instagram: “Giusto così o che teste di cazzo?” e poi scrivendo che “Il talento non si inchinerà mai davanti a dei miserabili”. In seguito, ha provveduto a far impazzire ulteriormente gli isterici, durante le celebrazioni per il centenario della morte di Puccini, ha deciso di eseguire fuori programma l’Inno a Roma prima dell’esibizione.
Uno schiaffo in faccia doppio ai moralisti, i quali sono schizzati alla notizia, è arrivato dalla terza situazione: c’entra sempre un direttore d’orchestra, Alberto Veronesi. Ex candidato del PD e di Azione, si è sempre dichiarato anticomunista e, sempre al centenario dalla morte di Puccini, ha deciso di ribellarsi alla regia francese che poneva La Bohème del maestro lucchese come rivolta sessatottina, con tanto di pugni chiusi e quant’altro. Veronesi si è presentato sul palco con una maschera nera sugli occhi, segnalando il suo dissenso. Dopo l’esibizione (eseguita comunque egregiamente), la fondazione organizzatrice ne ha decretato l’allontanamento, e Veronesi ha dichiarato che se ne sarebbe fregato presentandosi comunque per dirigere l’orchestra.
Ora: in attesa di vedere come si evolverà la vicenda Veronesi, la cosa rilevante è una: finalmente qualcuno ha risposto a tono alle intimidazioni dei bulletti antifascisti. E nel caso di Beatrice Venezi, non l’ha fatto frignando o appellandosi al cosiddetto “fascismo rosso” o cose simili, li ha chiamati con il proprio nome: miserabili, invidiosi, teste di cazzo. Perché sì, è ora di dire una volta per tutte che il fascismo degli antifascisti non esiste, è semplicemente antifascismo.
Ovunque si voglia negare a qualcuno l’esistenza, l’attività professionale o politica, vivendo in funzione “dell’andare contro all’altro”, si è nell’antifascismo: zero proposte, nessuna inventiva, fantasia, valori, punti di riferimento, identità, furia censoria. La cancel culture è antifascismo allo stato puro, e la risposta di Beatrice Venezi sbatte questo fatto in faccia non solo ai moralisti della sinistra progressista, ma anche ai benpensanti di destra che si rifugiano sempre nell’accusa agli avversari utilizzando la loro stessa retorica.
L’altra dimostrazione fornita dal direttore d’orchestra, è che chiedere scusa e prostrarsi a questi sgherri del pensiero dominante non serve né a farsi riabilitare (verresti comunque bollato come “quello che una volta strizzò l’occhio ai fasci”) e né ad evitare le sentenze dei tribunali popolari di Twitter o dei “salotti bene”: Venezi ha sputato in faccia a questi veri e propri bulli che usano ricatti mafiosi minacciando le carriere per far piegare la gente al loro stivale. L’opinione pubblica, per quanto possa contare, si è schierata in blocco dalla parte della Venezi, a testimonianza di come ormai, questa continua tiritera noiosa dell’antifascismo in primo luogo sia stucchevole e superata, e in secondo luogo non abbia più presa sulla gente.
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