di Saturno
I videogiochi sono una forma d’arte al pari di film, musica, dipinti, romanzi, ecc. Essi sono un qualcosa di unico perché a differenza delle altre forme d’arte sopracitate, necessitano dell’interazione attiva da parte dell’utente che ne sta usufruendo, ma allo stesso tempo, a loro modo, inglobano comunque le suddette arti dentro di se. Da un qualcosa di nicchia a cui erano interessati individui che la società guardava come strani, sfigati e infantili, i videogiochi hanno progressivamente acquistato dignità conquistandosi uno spazio importantissimo nella cultura di massa.
Al pari di come esistono critici d’arte per dipinti e sculture, esistono oggi figure analoghe nell’ambito dei videogiochi. È sempre più diffusa la pratica e l’interesse (le numerose visualizzazioni di questi video lo dimostrano) di analizzare i videogiochi in modo molto più profondo di semplici recensioni, ad esempio analizzando delle opere non nel loro complesso ma soffermandosi sulla loro atmosfera e sulle emozioni che trasmettono, oppure analizzando i problemi morali all’interno delle scelte lasciate al giocatore nello svolgimento della trama, facendo spesso riferimento a principi filosofici ed a eventi storici realmente accaduti, oppure ancora prendendo in considerazione l’ambito videoludico nelle analisi multimedia delle correnti artistiche contemporanee (es. la fantascienza e il cyberpunk).
Eppure, nonostante l’indiscutibile dignità acquisita da questo tipo di arte, in genere ancora non è emerso un concreto e diffuso interesse nel preservarla al pari di come si fa con altre forme di media d’intrattenimento. Per quanto riguarda i libri, ad esempio, le biblioteche cercano sempre di procurarsi copie di libri nuovi (e vecchi) sia perché così facendo si offre un migliore servizio ai clienti, ma anche perché viene percepita l’importanza del preservare le opere (non importa quanto importanti). Ed anzi, in Italia esiste anche l’obbligo, conosciuto come “deposito legale”, rivolto ai soggetti responsabili di una pubblicazione libraria, di depositare un certo numero di copie presso biblioteche ed istituzioni designate.
In un certo senso la preservazione dei videogiochi avviene già tramite la pirateria (quindi illegalmente), ovvero procurandosi file di videogiochi (copiandoli da supporti di memoria fisici come dischi, oppure scaricando i file da internet), aggirare le misure anti-pirateria, ed infine redistribuirli ad altre persone (sopratutto tramite internet). Sebbene la pirateria sia un motivo di mancati introiti per l’industria videoludica, paradossalmente è proprio questa pratica che ha permesso a moltissimi titoli videoludici di sopravvivere negli anni.
Le console videoludiche invecchiano, vanno fuori produzione e diventano introvabili (a prezzi decenti), in più col tempo inevitabilmente si rompono e trovare il modo di ripararle non è sempre alla portata di tutti. Lo stesso vale per i dispositivi di memoria su cui vengono venduti i videogiochi, siano esse cartucce o dischi, diventano anch’essi introvabili e soggetti ad usura. La pirateria, insieme all’emulazione (il giocare su nuovi hardware, specie PC, videogiochi usciti per altre piattaforme come la playstation) ha permesso la preservazione di tantissimi videogiochi che sarebbero altrimenti andati perduti nel tempo.
Tuttavia questo metodo di preservazione dei videogiochi non è sostenibile per diversi motivi. Innanzitutto la pirateria è illegale, quindi chi diffonde file di videogiochi craccati e/o riesce ad eludere i sistemi di sicurezza di una console per modificarla e diffonde questa sua conoscenza online, rischia dei guai con la legge. Oltretutto non tutti i videogiochi vengono craccati, sia perché dei giochi possono essere talmente poco popolari e diffusi da sparire dagli store online senza aver prima attirato l’interesse di chi ha voglia e competenze di craccarli e redistribuirli, sia perché alcuni giochi per loro natura non possono tecnicamente essere piratati, mi riferisco ai giochi solo online come ad esempio gli MMO free to play il cui funzionamento è indissolubilmente legato al funzionamento dei server di gioco, i quali quando vengono chiusi (perché il gioco non genera più sufficienti profitti e/o l’azienda che lo gestisce ha fallito) non permettono più di giocarvi anche se si ha ancora il gioco salvato sul PC.
La playstation 5 e l’xbox serie X sono la rappresentazione di una pericolosa evoluzione dell’industria videoludica in quanto sono le prime console (di successo) di cui sono state prodotte delle versioni senza il lettore per i dischi, il che è esplicativo per quanto riguarda la tendenza dell’industria videoludica ad abbandonare l’uso dei dischi in favore della vendita di videogiochi tramite gli store online. Esistono già una marea di videogiochi digital only, i quali per loro natura se scomparissero per un qualche motivo dagli store, essi diventerebbero introvabili, mentre con i dischi almeno essi sarebbero continuati ad essere reperibili sui siti di vendita di oggetti usati (come ebay). Ma in realtà può accadere (ed accade già) che talvolta anche le stesse copie fisiche di un gioco diventino introvabili se non a prezzi esorbitanti.
Secondo un recente studio l’87% dei videogiochi classici pubblicati negli Stati Uniti non sono più reperibili. Il pericolo di vedere dei videogiochi sparire e diventare irreperibili col tempo è quindi già una realtà concreta e non una qualche teoria strampalata. La soluzione a tale problema dovrebbe essere un impegno delle autorità pubbliche, magari coinvolgendo diversi Stati che si accordano insieme per lo sviluppo di un progetto di conservazione dei videogiochi tramite la creazione di archivi che conservino i videogiochi appena usciti (magari obbligano i publisher ad inviargli i file dei giochi insieme a delle copie fisiche, al pari di come si fa con i libri nelle biblioteche in Italia) e che cerchino allo stesso tempo di reperire quelli vecchi. Sebbene la soluzione ideale sia per l’appunto interamente pubblica, andrebbe bene anche un sostegno con dei contributi ad associazioni private che vorrebbero cimentarsi con la preservazione dei videogiochi; non importa come ma basta che si faccia.
Così come film e libri, anche i videogiochi possono dire tanto delle persone che li hanno creati e dell’epoca in cui sono stati pubblicati, per questo la loro preservazione è altrettanto importante. Nonostante viviamo nell’era digitale, molti videogiochi sono già andati perduti, forse per sempre, e il lavoro di ricercare vecchie cartucce e vecchi dischi introvabili è oggi un qualcosa che avviene solo per l’intraprendenza e la buona volontà di singoli individui e piccoli gruppi che, a loro spese, come dei contemporanei monaci amanuensi cercano di recuperare e preservare i file di videogiochi vecchi, dimenticati e irreperibili. Ma un lavoro come questo per essere davvero efficiente deve avvenire col sostegno delle autorità pubbliche che dovrebbero creare istituti (o allargare le competenze in tal senso di istituti già esistenti) con lo scopo di svolgere questo lavoro di preservazione, magari anche col sostegno di leggi che andrebbero create ex novo per far si che i publisher videoludici siano obbligati a dare copie dei file dei loro giochi a tali istituti.
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