Di Elena

Tramite l’enorme quantità di piattaforme a nostra disposizione, che come ha capito anche René Ferretti, controllano ormai il mondo del cinema e non solo, abbiamo accesso a tanti contenuti diversi senza dover aspettare la proiezione televisiva tassellata da interminabili pause pubblicitarie. 

Scorrendo qualsiasi catalogo, vediamo come sia ben nutrita di contenuti la sezione dedicata all’horror e al crime, che producono rispettivamente prodotti di alta qualità scenografica. Tanto da riuscire quasi a farci sentire il sapore di ferro in bocca alla vista di un cadavere martoriato da pugnalate. 

Se a tanti suscettibili, la visione di certe pellicole può apparire come una maniera per alcuni individui di reprime degli istinti primordiali e macabri, per alcuni studiosi così non è. Tanto che ancor prima delle televisioni, la gente pagava i biglietti dei freak show, a dimostrazione del fatto che questa perturbante attrazione c’è sempre stata.

I freaks innanzitutto sono una comunità per attribuzione esterna, e non per volontà propria come può succedere con la comunità LGBT, che si è ritagliata un suo campo semantico. Essi infatti non hanno mai cooperato per uscire dal ghetto in cui per volere della società si trovano. I freaks rimangono all’ombra di questo nome che incute uno strano timore. Non per questo però, non hanno provato a svincolarsi da questa etichetta tramite interventi chirurgici rischiosi o poco ortodossi, per raggiungere la tanto agognata e forse sopravvalutata normalità.

Se in un primo momento alla loro presenza è comune fremere dal ribrezzo, poi subentra la familiarità e la curiosità del fenomeno che cade sotto agli occhi. In una coppia di gemelli attaccati  per la testa, il brivido che causa la visione delle due teste unite viene poi affiancato dal fatto che riconosciamo due figure umane padrone di quei due volti distinti. È la familiarità  che siamo in grado di riscontrare che secondo Freud ci spinge alla curiosità.

Aristotele a questo aggiungerebbe che a facilitare il nostro approccio al fenomeno in questione, è il fatto vediamo i fatti da una distanza sufficiente da farceli apprezzare. Se vediamo un cadavere dal vivo, è molto probabile che inorridiremmo, ma se lo stesso cadavere fosse dipinto da Caravaggio, gioiremmo alla vista di un’opera tanto ben riuscita. 

Nel caso sopracitato dei gemelli siamesi poi, subentra un altro fattore. La necessità di distinguere l’uno dall’altro per fare ordine nelle nostre teste. Così scatta un meccanismo del tutto umano, che ha l’obbiettivo di operare una lista di caratteristiche opposte tra i due individui che finiscono per somigliarsi solo nel corpo. Quindi in molti casi uno diventa il polo positivo e l’altro viene ridotto per analogia al polo negativo. 

In sostanza ad attirarci è in larga parte una innocente curiosità che viene soddisfatta (seppur rielaborata dal nostro inconscio) ad una debita distanza dal soggetto studiato.