Di Luca
E’ trascorso poco più di un mese dalla prima alluvione in Romagna, una disastro di proporzioni inaudite che ha causato miliardi di euro di danni e messo in ginocchio una intera regione.
Gia dalla prima alluvione nel faentino i ragazzi del Blocco Studentesco si sono adoperati per portare un aiuto concreto nei territori colpiti, arrivando ancora prima di protezione civile.
In questo articolo non si vuole disquisire di responsabilità o della mala gestione dell’emergenza, tematica già trattata in altri articoli, bensì soffermarsi su ciò che di buono è emerso dalla nostra esperienza in prima linea.
Non si può riconoscere che è stata una fortuna per le istituzioni che questo disastro idrico sia accaduto in una regione come la Romagna dove la reazione da parte della popolazione è stata eccezionale, tanto da sopperire alle mancanze dello stato.
Poco dopo la rottura dell’argine del fiume Lamone e la conseguente alluvione di Faenza e Bagnacavallo, diversi gruppi di volontari dei paesi limitrofi si sono organizzati tramite passaparola per portare aiuti agli abitanti delle zone colpite.
Tramite una rete di contatti, amici e conoscenti frutto anche di anni di attività sul territorio, ci siamo uniti a questi gruppi.
Delle istituzioni non c’era ancora praticamente traccia.
La prima mattina utile per iniziare a lavorare abbiamo ritrovato sul campo una scena surreale: centinaia di persone provenienti da tutta la regione che camminavano lungo le strade ancora piene di fango con una pala in mano. Persone di tutte le eta dagli anziani ai bambini fino a gruppi di studenti che appena usciti da scuola raggiungevano in bicicletta le case colpite chiedendo se servisse aiuto. I ristoranti offrivano da mangiare ai volontari ed alle famiglie sfollate. Ragazzi appena usciti da scuola portavano in spalla un badile ed aiutavano a liberare le case dal fango. Qualcuno passava per le strade in macchina e ci offriva birre ghiacciate o del buon vino, che visto il caldo non era molto appropriato ma non si poteva certo rifiutare. Ancor più bella era l’ironia delle persone che nonostante avessero perso tutto, al lamentarsi preferivano spesso scherzare e fare battute su ciò che era successo. Verso sera dopo una giornata di lavori si fermava tutto e si accendeva una griglia per mangiare tutti assieme come per sbeffeggiate il disastro appena accaduto che poteva anche aver fatto perder la casa a quelle persone ma di sicuro non la voglia di ridere e fare festa.
L’alluvione ha risvegliato nelle persone un sentimento di popolo che da anni era sopito, ed ha dato vita ad un volontarismo senza precedenti, chiunque poteva aiutare in qualche modo lo faceva con i suoi mezzi e le sue possibilità. Chi non poteva partecipare come forza lavoro comunque donava qualche soldo, o materiali essenziali alle operazioni.
Poca burocrazia, pochi permessi e come si dice qua in Romagna “Poche pugnette”, è stato questo a fare la differenza. Mentre la gente si immergeva nel fango portato dai fiumi, protezione civile ed istituzioni restavano spesso impantanate in quello delle carte che spesso gli impedivano di intervenire concretamente senza permessi. Ma non solo, alle volte ostacolavano le operazioni di altri volontari impedendogli ad esempio l’acceso alle strade con i mezzi per il trasporto di materiali come generatori, pompe, idropulitrici e addirittura beni di prima necessità che si volevano distribuire nei paesi rimasti isolati dalle frane. La notte i residenti sono stati costretti ad organizzare in certe zone gruppi per pattugliare le strade per dare un freno ai furti degli sciacalli che approfittavano della assenza degli inquilini per trafugare le abitazioni, in quanto polizia e carabinieri si limitavano a dirigere in traffico durante il giorno, lasciando scoperte le strade di notte, quando davvero servivano.
Sono accorsi volontari da tutta Italia e ci siamo ritrovati a lavorare fianco a fianco anche con parti politiche avverse alla nostra, lasciando per una volta da parte le divergenze riconoscendo di essere parte di uno stesso popolo che in quel momento chiedeva aiuto.
Ciò che più colpisce è il clima di cameratismo e disinteressato altruismo, chi ha avuto la fortuna di far parte di una comunità militante sa di cosa parlo, che in quei giorni si respirava per le strade delle nostre città. Rattrista pensare che terminato tutto ritorni quel triste individualismo tipico del mondo moderno.
Si è messa in moto una macchina di solidarietà senza precedenti, l’amore per la propria gente e per la propria terra ha portato molte persone a guardare oltre gli interessi individuali, come in una chiamata alle armi.
Basti pensare che il 90% del lavoro per ripulire i territori alluvionati è stato quello fatto dai coordinamenti di volontari.
Questo dovrebbe essere sufficiente far comprendere la vera forza latente che giace nel popolo e di che opere sia in grado di mettere in atto con le sue migliaia di braccia, gambe e menti.
Le carenze da parte dello stato hanno suscitato un grosso malcontento nella popolazione che mi auspico si trasformi in rabbia e volontà di un vero cambiamento per questa terra da troppi anni sotto il giogo di una classe politica corrotta, che non è in grado di difendere gli interessi della propria gente.
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