Di Chiara

Michele Rech, in arte Zerocalcare, è tornato. 

Per l’ennesima volta ci ritroviamo dinanzi alla retorica del povero antifa vittima di uno stato oppressore, che però, può lamentarsi tranquillamente attraverso uno dei più grandi servizi streaming al mondo: Netflix.

“Questo mondo non mi renderà cattivo” è solo la conferma di come il fumettista abbia venduto la sua “ribellione antifascista” al capitalismo. 

Non ha fatto altro che rendere la militanza politica e le periferie una macchietta utile solo per arricchirsi alle spalle di chi certe zone le vive veramente. 

Infatti, nonostante Zerocalcare sbandieri ai quattro venti il fatto di essere nato nel quartiere periferico di Rebibbia, è noto come in realtà abbia passato la sua infanzia e adolescenza tra le scuole private e internazionali della capitale, come il Lycée Chateaubriand. 

Racconta le borgate romane come fossero un luogo fantascientifico, popolato da gente altrettanto strana, cercando in tutti i modi di sembrarne parte (ad esempio, ostentando una cadenza romanesca che palesemente non gli appartiene e che rende il tutto più grottesco).

In pratica tutta la serie ripudia gli ideali per cui il fumettista dice di aver lottato. 

Un esempio di ciò è proprio che uno dei suoi primi lavori fu raccontare i fatti legati al G8 di Genova del 2001, essendo vicino (almeno all’epoca) alla visione dei no global e dei centri sociali di sinistra, infatti è paradossale che a distanza di 20 anni si ritrovi a lavorare per ciò che meglio rappresenti la deriva capitalista.

Nessuna vergogna, quindi, nel parlare di periferie, lotta di classe, scontri tra “nazisti” e antifascisti, servendosi di mezzi tutt’altro che anticapitalisti. 

Cerca in tutti i modi di imporre allo spettatore cosa sia giusto e cosa sbagliato: in modo abbastanza infantile, definisce i “nazisti” cattivi; non parla mai di fascisti poiché crede che le popolazione non lo percepisca più come un insulto e li descrive come persone completamente incapaci di prendere decisioni in autonomia.

La storia di Cesare è esemplare: un ragazzo caduto nel vortice della tossicodipendenza che una volta uscito dalla comunità decide di schierarsi con un gruppo fascista non meglio identificato (palese parodia di Casapound). Ed è proprio qui che è tangibile l’ipocrisia antifascista, dal momento in cui dopo gli scontri di “Tor sta ceppa”, Cesare rimane vittima dei “nazisti” e di conseguenza ripudia i propri ideali. È come se per il fumettista non fosse minimamente concepibile che qualcuno possa effettivamente avere un’idea differente dall’antifascismo. 

La famosa dialettica di sinistra che punta solo a dividere il mondo nella solita dicotomia, stavolta si è mostrata nella sua sfaccettatura più banale: passare dalla distinzione tra proprietario dei mezzi di produzione e proletario a quella tra buono e cattivo è un attimo