di Patrizio
La dipartita di Silvio Berlusconi è stata la notizia principale degli ultimi tre giorni; sin dalla comunicazione del suo recente nuovo ricovero, a pochi giorni di distanza dalla sua uscita dall’ospedale San Raffaele, c’era la sensazione che questa volta sarebbe stato molto difficile che la scampasse. E infatti è successo: l’ex Cav. si è spento alle 9:30 del 12 giugno. Data destinata a divenire storica, in quanto punto finale della travagliata vita di un uomo molto controverso.
Un uomo. Questo è stato Silvio Berlusconi, che è invece stato, nei suoi 30 anni di attività politica, dipinto in maniere diametralmente opposte a seconda che lo si amasse o odiasse: un santo, un mostro, il salvatore della Patria, un mafioso, un uomo giusto, un corrotto. Analizziamo dunque la sua figura che, ci piaccia o meno, è stata centrale nella scena politica mondiale, cambiandola, forse, per sempre.
Berlusconi, infatti, scende in politica in un momento in cui i politici iniziano ad essere schifati dall’elettorato: prima l’arresto di Mario Chiesa, Mani Pulite, la fine dei partiti della prima repubblica e la successiva riorganizzazione della sinistra comunista nel PDS, fanno crescere il sentimento di antipolitica negli italiani. Berlusconi, in questo contesto, è dunque “grillinamente” pionieristico, ponendosi come l’imprenditore “onesto”, esponente della gente che lavora, che non ha interessi, in un momento in cui la politica viene vista dagli italiani medi come “un modo per arricchirsi”, un miliardario con aziende sulla cresta dell’onda passa come qualcuno di credibile, perché “che convenienza ne avrebbe? Tanto i soldi li ha già”. In questo modo, l’imprenditore brianzolo riesce ad accaparrarsi la fiducia e il consenso della maggioranza dei votanti, campando soprattutto su temi come la libertà d’impresa, le tasse troppo alte, la disoccupazione e utilizzando il (fruttuosissimo) cavallo di troia del “pericolo comunista”.
Già. Perché come abbiamo avuto modo di sapere bene, per Berlusconi i comunisti sono stati una miniera d’oro: quanti meme, quante battute, quanti momenti folkloristici in cui Silvio li ha buttati in mezzo? La sua retorica, si pone invece come liberaloide: Berlusconi utilizza tantissimo dei concetti come libertà, democrazia, meno stato, intesi però in chiave populistica, proponendosi come un vago generico obiettivo la mistica “rivoluzione liberale” che, però, non avverrà mai. Vincendo le elezioni del ’94, e poi del 2001, Berlusconi si impone come nuovo “salvatore della Patria” e paladino della libertà contro il “comunismo”.
Da buon “arci-italiano”, come correttamente definito dal canale YouTube “Progetto Razzia”, Berlusconi si farà conoscere in politica estera: famosa la sua battaglia di “pacificazione” tra Stati Uniti di Bush e la Russia dell’allora nuovo presidente Putin, con la famosa stretta di mano da lui simpaticamente “accompagnata”, il “kapò” appioppato a Schulz durante il consiglio europeo, la “Merkel culona”, i “poveri comunisti”, “mi consenta”, la sedia di Travaglio, tutte scene estremamente folkloristiche che hanno fatto risaltare la presidenza del Consiglio italiana agli occhi dei vertici internazionali. Una vera e propria star, un uomo di spettacolo prestato all’istituzione, con gaffe e momenti divertenti ormai arcinoti e diventati dei cult del ventennio berlusconiano. Le sue proposte (tasse più basse, il milione di posti di lavoro, il ponte sullo stretto di Messina) sono diventate un tormentone della politica, e la sua figura estremamente polarizzante (anticipando, anche qui, l’ascesa di Donald Trump negli USA), come la retorica dello “stato cattivo” che non lascia stare la gente per bene che lavora, in realtà sono cose puramente populiste, nulla a che fare con ideali liberali ma con la pancia demagogica della piccola borghesia dell’italiano medio.
I procedimenti stessi subiti, sull’evasione fiscale, sui bunga-bunga eccetera, per cui Berlusconi ha buttato più di 800 milioni di euro in spese processuali, da quella parte di popolazione più ipocritamente bacchettona erano visti male ma dall’altra parte, vi era la larga fetta di suoi fedelissimi che vi hanno sempre reagito positivamente perché, ai loro occhi, Berlusconi era uno che i vizi (le donne, i redditi non dichiarati) li ammetteva, ci scherzava. D’altro canto, era visto in maniera molto più ipocrita un PD che, invece, i legami con la mafia li ha sempre taciuti e i soldi in nero (come dimostrato anche dal recente scandalo Qatargate) li prendeva sottobanco. Sono stati i suoi errori geopolitici (l’abbandonare Gheddafi), strategici (l’appoggio a Monti, Draghi, Letta, governi ammucchiata vari), le sue ultime uscite e la compromissione dovuta al non aver mai realizzato concretamente le proposte avanzate, che hanno eroso il suo consenso riducendolo al supporto dei gruppi di potere e le lobby che lo sostenevano e smuovevano voti, oltre ai suoi fedelissimi.
Il Cav., oltre a non essere allineato alle loro dinamiche, è stato odiato dalla sinistra principalmente per un motivo: nel tempo, è stato l’unico che, a modo suo e per i suoi interessi personali, è riuscito a costruire delle strutture alternative (televisioni, giornali, case editrici dai grandi numeri) seppur, nel tempo più recente, si siano anch’esse annacquate su temi liberal-progressisti e moderati. D’altronde, però, Berlusconi non si è mai posto come un politico identitario, fu odiato perché uomo di successo, pioniere in campi considerati da sempre come esclusiva delle élite di sinistra. In conclusione: Silvio Berlusconi non è mai stato un fascista, non ha mai visto lo stato in maniera organica e la nazione in senso spirituale, e non è mai stato nemmeno liberale, termine sempre impropriamente utilizzato in opposizione alla sinistra “comunista” che non lasciava stare i piccoli imprenditori onesti, e ai magistrati corrotti (oltre che comunisti), che lo “perseguitavano” per impedirgli di raggiungere i suoi scopi. È stato invece, una squisita rappresentazione del tessuto sociale su cui si è basata l’Italia post-boom economico: borghese, populista, antipolitico, un uomo “come tanti”, che si è “costruito da solo”. È stato dunque, in sostanza, il “sogno italiano” perfetto a cui ogni uomo della strada a prescindere dall’estrazione, poteva rifarsi: l’italiano medio che, tra i tanti fantozziani tentativi di elevarsi socialmente, che ce l’ha fatta.
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