di Patrizio

“Italiani? Brava gente, ma un po’ voltagabbana eh. Sei italiano? Allora sai cucinare da dio! Bellissimo paese, che buon cibo! Patrimonio del turismo mondiale, il calcio, la moda, il mandolino, le donne, la passionalità!”

Quante volte parlando con stranieri (e con certi italiani) vi siete sentiti dire queste cose? E soprattutto: vi fa piacere sentirvele dire? Come interpretate quando uno straniero, pensando di farvi un complimento, vi dice queste cose? Molti italiani hanno ormai fatto l’abitudine a sentirle, a compiacersene e a vantarsene con gli altri. Ma davvero l’Italia è solo questo? La nostra storia inizia il 17 marzo 1861 come cercano di far passare in altri stati e in certe nostre scuole?

La risposta, ovviamente, è no. Sì, per carità: sappiamo tutti di essere degli amanti della buona cucina, delle donne e di avere città bellissime, ma queste qualità (importanti) dell’Italia, all’estero, sono diventate il metro totale della nostra identità. E molti italiani, anche a livello politico, reputano ormai che il nostro ruolo nel mondo sia essere il paese dell’oste, del folklore, l’hotel a cinque stelle del mondo in cui gli stranieri vengono e ci fanno campare di turismo. Ma noi siamo molto di più. L’Italia è stata capofila per cultura, innovazione, modello di riferimento del mondo durante l’antichità, la “nuova Grecia” erede della civiltà ellenica, creatrice di un impero mastodontico in grado di sottomettere per secoli la maggior parte del mondo allora conosciuto. Roma è, insieme ad Atene, il punto fermo della civiltà europea; senza di essa, il mondo non sarebbe come lo conosciamo oggi. Roma è stata avanguardia, capitale dell’impero più importante della storia dell’umanità, in grado di civilizzare tutta l’Europa mediterranea ponendo livelli altissimi a livello tecnologico, politico, architettonico, artistico, militare, letterario, modelli base seguiti ancor oggi in tutto il mondo. 

L’Italia, anche dopo la caduta dell’impero, è stata la culla del risveglio europeo durante il tardo Medioevo e il Rinascimento, seconda fase storica principale in cui la nostra Nazione, con tutte le sue complesse peculiarità e divisioni politiche, è stata faro del mondo grazie a geni visionari nei loro campi come Dante, Galileo, Petrarca, Colombo e Vespucci, Machiavelli, Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Petrarca, Leon Battista Alberti, Bernini, i Medici, Guicciardini, e numerose altre grandissime individualità, consiglieri, inventori, esploratori e artisti ricercatissimi da tutti i regni d’Europa per le loro capacità. 

Noi siamo figli di questa stirpe, abbiamo studiato sui loro testi, abbiamo fondato le radici culturali della nazione sulle loro filosofie. I grandi italiani moderni e contemporanei ne hanno fatto tesoro e le hanno riapplicate per unificare l’Italia sotto un’unica bandiera: Mazzini si rifaceva alla civiltà romana, Garibaldi al popolo e al mito dell’eroe, Mameli all’anima imperiale di Scipione e ai Vespri Siciliani. Si tratta di ideali e filosofie fondanti troppo profondi e radicati nella storia d’Italia per ridurre il nostro Paese alla buona cucina, alle belle donne, all’animo gioioso e ospitale di molti di noi. Siamo noi italiani in primis a doverci rendere conto della nostra storia, del nostro potenziale, di ciò che abbiamo contribuito a creare nella storia antica e recente come popolo: come ad inizio del ‘900, serve estrarre nuovamente l’orgoglio spirituale e il mito imperiale dell’Italia come guida culturale e morale dell’Europa, del Mediterraneo e del mondo, riscoprire il nostro Volksgeist (come lo chiamerebbe Hegel) e applicare una filosofia positiva, propositiva alla vita quotidiana. Perché siamo italiani, e il modello lo dobbiamo dettare noi.