di Patrizio
Domenica si è votato in Finlandia, e stando ai media nostrani la super adorata premier socialdemocratica Sanna Marin, paladina di Davos, le cui gesta “woke” sono state osannate in metà UE, avrebbe dovuto prendere un plebiscito. Per carità, ha aumentato anche i propri voti complessivi, ma è comunque finita terza dietro ai due principali partiti di destra: il più moderato Kokoomus (“Coalizione”, più centrista) ma soprattutto dietro a Perus (“Veri Finlandesi” più sovranista, anti-immigrazione ed apertamente euroscettico).
Perus, il partito sovranista, peraltro, è anch’esso guidato da una donna, e pare fondamentale nella creazione di un Governo con i moderati della Coalizione (a differenza della Svezia, in cui c’è un governo di minoranza, con i Democratici Svedesi stanno fuori nonostante abbiano molti seggi). Tutto ciò è interessante dato l’ingresso odierno ufficiale della Finlandia nella NATO: essendo anche Perus un partito sostenitore della causa ucraina, sarà interessante vedere come cambierà la politica finlandese in campo estero.
Non esattamente una vittoria dunque. Ma a certificare definitivamente la bocciatura delle follie progressiste in Finlandia, sono stati i deludenti risultati degli alleati della Marin, a cui lei aveva consegnato i dicasteri più ideologici: hanno infatti deluso sia i Verdi che la sinistra radicale, rispettivamente padroni dei ministeri dell’ambiente e dell’interno i primi (Verdi, infatti, paladini delle più classiche battaglie ambientaliste contro nucleare, tutte le fonti di energia non-rinnovabile ma grandi amanti degli immigrati), mentre dell’educazione e degli affari sociali i secondi (il capo del partito della sinistra radicale, Li Sigrid Andersson, è infatti la classica femminista bacchettona fanatica della propaganda LGBT sin dalle scuole primarie).
Gli effetti di queste politiche ideologiche progressiste non sono affatto piaciuti all’elettorato finlandese, in un paese non abituato così tanto a fiumi di immigrazione come la vicina Svezia, in cui prevale un’economia di tipo agrario incompatibile con tutta la folle burocrazia “green” che sta uccidendo l’agricoltura di altri paesi europei. A trionfare sono stati invece partiti che, almeno a parole, si sono sempre apertamente dichiarati contro l’immigrazione incontrollata, contro l’ideologia “woke” di Marin e soci, confermando la tendenza dei paesi del “blocco occidentale” a rifiutare sempre più il progressismo acritico in salsa Netflix e Open Society, seguendo le recenti consultazioni (almeno quelle di opinione dell’elettorato) di Croazia, Bulgaria, Italia, Polonia e Ungheria.
L’immigrazione sfrenata, la propaganda LGBT, il femminismo radicale, la colpevolizzazione del maschio e soprattutto l’ambientalismo acritico piacciono sempre di meno, dimostrando che i progressisti europei, evidentemente, finora hanno fatto i proverbiali “conti senza l’oste”.
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