Di Giovanni.

Come ben sappiamo la cosiddetta “destra radicale” non è mai stata unita e la tanto agognata “unità d’area” rimane ancora un miraggio. 

Solo in tempi più recenti il covid e le conseguenti limitazioni alle più basiche libertà individuali, ora con le chiusure, ora con il Green pass hanno messo d’accordo tutta l’area. 

Finita la pandemia e archiviati distanziamento e certificato vaccinale venne il momento della guerra in Ucraina o meglio dell’ allargamento di un conflitto scoppiato nel 2014 all’ indomani della caduta del governo filorusso di Janukovyc. Inutile dire che dal febbraio 2022 con l’estensione della guerra iniziò lo squallido teatrino da talk show televisivo che continua a distanza di tredici mesi con la stragrande maggioranza dell’ opinione pubblica schierata a favore di Kiev e che invoca l’aiuto della NATO. 

Ma v’è chi, come molti movimenti della destra radicale (e anche della sinistra!) dal 2014, prende le difese della Russia di Putin, vedendola come un avamposto resistenziale alla barbarie occidentale. 

Come buona parte dell’Europa orientale anche la Russia non ha ancora sperimentato a pieno i mali dell’occidente. Città come Mosca o San Pietroburgo non hanno mai conosciuto lo squallore dei gay pride né tantomeno sono diventate invivibili a causa di decenni di immigrazione selvaggia al contrario di Parigi o Stoccolma. Inoltre il Cremlino negli ultimi anni ha promosso politiche per incentivare la natalità, con buona pace dei nostrani progressisti che spingono per rimpiazzare gli europei. 

Ma basta davvero così poco per considerare una nazione come la Russia un esempio assoluto, tanto da arrivare ad auspicare un’invasione da parte di essa come fanno alcuni filorussi nostrani? Secondo questo ragionamento cinquant’anni fa avremmo dovuto vedere di buon occhio l’URSS, in quanto là, a differenza dell’Europa occidentale l’eroina non circolava nelle strade. É bene ricordare a quest’ultimi che qui sono in vigore severissime leggi antifasciste: Il solo possesso di certi libri può comportare diversi anni di reclusione come il tatuarsi  alcuni simboli sgraditi. Diversi sono i gruppi nazionalisti come “Wotan Jugend” che negli anni hanno subìto una durissima repressione da parte del Cremlino. Nulla da stupirsi per un paese che celebra il nove maggio la caduta di Berlino e la sconfitta del nazismo. Una vittoria alla quale Putin si richiama quando parla di “denazificazione”, auspicando una definitiva sconfitta dei nazionalisti europei, soprattutto dell’est, ritenuti i servi di Washington. É bene ricordare quindi le parole di Dugin in merito al fascismo da lui considerato “prodotto dell’occidente” e pertanto da eliminare. 

Un paese la Russia non ha mai fatto i conti col suo passato sovietico e ancora ne celebra i fasti con patetica nostalgia tantochè in ogni città da San Pietroburgo a Vladivostok sono presenti vie e statue dedicate a Lei o fianco a Stalin. Ancora oggi il Cremlino non riconosce il genocidio dell’ Holodomor avvenuto in epoca staliniana: una carestia pianificata che provocò milioni di morti in Ucraina. 

Un paese fortemente antifascista, non tanto dissimile dalle democrazie occidentali anch’esse vincitrici della Seconda Guerra Mondiale. Pertanto considerare la Russia un esempio non ha senso per coloro che ad oggi seguono la nostra Idea.

Vi sono addirittura certi che velatamente sperano in un’invasione russa con lo scopo di ripulire l’Europa dai mali dell’occidente pur dichiarandosi nazionalisti, giustificandosi con la frase di Evola “Patria è laddove si combatte per la mia idea”. Ma avrebbero davvero il coraggio di passare dalla parte dell’invasore se un domani i carri armati con la Z e le bandiere rosse arrivassero in Italia? Forse molti di loro, nonostante il loro amore per la Russia, combatterebbero in difesa dell’Italia.

 Ma c’è anche chi sostiene che se i russi arrivassero a Roma vorrebbe spalancare le porte agli invasori, o meglio, ai liberatori, come essi sogliono definirli. Un atteggiamento in perfetto stile partigiano. 

Lungi da chi scrive fare il pippone celebrativo di Zelensky e della NATO. Non si tratta di fare il tifo per una parte o per l’altra ma di riconoscere l’eroismo di quei giovani ucraini, magari originari della parte occidentale minimamente toccata dal conflitto, che fin dal 2014 sono partiti per il fronte per difendere la propria Patria. Un pensiero va a quei ragazzi che hanno dato la vita affinché città come Odessa o Mariupol non diventassero mai russe. Se “Patria è laddove si combatte per la mia idea”, allora non possiamo che sentirci vicini ai fratelli ucraini che combattono anche in questo momento per la loro Patria.