Di Domus

Da un punto di vista mediatico, l’unico argomento di cui l’opinione pubblica nostrana sembra non annoiarsi mai – né in tempi di virus, né in tempi di guerra o di crisi – è quello dell’ambiente (parola che, beninteso, vuol dire tutto e niente).

Quante volte si sentono nominare le non meglio precisate politiche green? Le necessarie transizioni ecologiche? La mitologica sostenibilità e le inarrivabili zero emissioni? Ne siamo letteralmente circondati: dalle storie su Instagram di “quell* che prende bei voti e si informa” (il padre ha appena comprato l’auto Hybrid+TM), al 100% dei documenti programmatici delle amministrazioni pubbliche (che si riscoprono verdi dopo aver mandato i conti in rosso per anni), passando ovviamente per l’infinito fiume di diarrea “giornalistica”.

Cerchiamo però ora di mettere un po’ di ordine nell’odierno marasma indistinto.

Per definire il significato di Ecologia – senza entrare nei più assurdi dibattiti sì/no che costellano i salotti televisivi o le trincee dei commenti sui social – viene utile osservare l’etimologia greca delle parole che la compongono: Oikos (Casa, Dimora, Comunità, Madre Terra) e Logos (Parola, Pensiero, Discorso, Sapienza). L’Ecologia (vera) è quindi lo studio delle relazioni che intercorrono all’interno di una Comunità che tiene in considerazione tutti gli elementi biotici (viventi) e abiotici (non viventi).

È una scienza che – in teoria – dovrebbe preoccuparsi di trovare un ordine totalizzante ed armonico per tutti gli Esseri che si uniscono in una comunità nelle loro differenze, ma quanto di ciò esiste veramente oggi? Cos’è l’Oikologos oggi? Vuoi illuderti che esista anche solo una vera Comunità?

Per poter rispondere ai quesiti sopracitati, va però analizzata l’origine del nuovo (dis)ordine green e dei suoi principali promotori, tutti assimilabili nella palude della sinistra progressista post-materialista: quel particolare fenomeno politico sviluppatosi nel nostro Paese nella seconda metà degli anni ’90, che divorzia definitivamente con il materialismo storico di Marx ed Engels per abbracciare l’alta borghesia e le classi più abbienti.

È una sinistra che sembra chiudere anche con la divisione in classi su base economicista, cercando nuove tematiche metapolitiche che siano inclusive di ricchi e poveri, riuscendo nell’intento di mascherare quella divisione che invece è sempre più acuta (basti vedere che la disuguaglianza economica è in aumento ovunque), per poi passare dalla parte del padrone. Oggi l’unica apparente divisione – tutta mediatica – è tra “buono, giusto, corretto e istruito” contro “rozzo, incivile, insensibile e ignorante”. Stranamente le prime etichette finiscono quasi sempre per categorizzare chi non ha problemi a comprarsi l’auto elettrica nuova, le seconde – invece – marchiano solitamente chi le crisi le sente veramente.

Guardiamo quindi oltre il velo, per vedere come in realtà – nel caso dell’altisonante tema del green – siamo di fronte ad un debordiano momento del falso, utile solo a confondere schiavi e padroni.

Anzitutto troviamo i “Klaus Schwab”, multimiliardari con una grandissima influenza sulle politiche intraprese dagli Stati di tutto il pianeta. Sono i lobbysti che convincono l’Unione Europea a varare direttive per determinare quanto è green la tua casa o la tua auto. Ovviamente questi soggetti hanno il solo cinico interesse di mantenere nel tempo la propria posizione di potere e di accrescere il più possibile la loro influenza su di te.

Ad un livello intermedio vi sono invece le “Elly Schlein”, gente mediocre che essendo “figlia di” è in grado di non lavorare un giorno della sua vita e di diventare europarlamentare a 29 anni. Sono quelli che possono prendersi due o tre lauree nelle migliori università senza alcuna preoccupazione perché hanno il posto assicurato, viaggiare il mondo per “fare l’esperienza” e dilettarsi in una pietas tutta borghese per piantare alberi in Madagascar.

Al livello più basso di questa catena alimentare green troviamo però l’elemento più curioso, poiché è colui che pur essendo schiavo della mostruosa società moderna, avvalla le politiche del suo stesso schiavista in preda al più cupo nichilismo. Lo vedi a imbrattare di vernice opere d’arte che gli ricordano il grande passato della sua civiltà o a bloccare con dedizione le tangenziali su cui transitano altri come lui che cercano di sopravvivere.

Certamente ciò gli consente si scalare la divisione metapolitica del “buono vs cattivo”, schifando chi come lui “non ha capito”, ma lo rende cieco di fronte all’evidenza di condurre una guerra fra poveri in favore dei suoi stessi oppressori.