di Alessia
Tra le guerre degli slogan, che negli anni hanno fatto discutere le opposizioni, la destra moderata, in particolare nelle ultime settimane, torna nuovamente a premere su una retorica da sempre costante in tema di immigrazione, quella dell’aiutiamoli a casa loro.
A questa lotta ideologica, fatta per lo più da quelli dell’accogliamoli a casa nostra, è semplice tacciare come stolti e cattivi chi invece, a casa propria, un intero continente africano non ce lo vuole affatto.
Al contrario, quelli che stanno dalla parte dei buoni, ovvero chi sostiene le ong donando 9 euro al mese per salvare la vita a un bambino, con il tempo si sono rivelati molto capaci a costruire una narrativa pietistica del continente africano e a spacciarla come giusta e sana.
Infatti, millanta a una superiorità morale perchè generosamente aiuta la povera gente, a differenza di noi indifferenti, è in realtà complice e responsabile di quello che viene riconosciuto come pornografia del dolore.
Con questa definizione, si intende un tipo di marketing legato alle organizzazioni non governative in grado di veicolare immagini stereotipate e pietose dei paesi in via di sviluppo e della sua popolazione al fine di lucro.
Li vediamo in tv ogni giorno, nelle pubblicità che promuovono raccolte fondi per le organizzazioni no profit, che impiegano immagini, spesso cruente, come a puntare il dito verso il telespettatore per tacciare la sua coscienza e incriminare la sua vita agiata.
La propaganda del bambino africano che muore di fame fa incassare 23.853.455 euro a Save The Children. Per poter incassare così tanto, l’obiettivo della loro strategia di vendita è far leva sulle emozioni delle persone, strumentalizzando immagini massacranti in cambio di una cifra mensile; messaggi cruenti che, se non fossero tali, porterebbero le stesse organizzazioni ad avere in tasca molti meno soldi di quanti ne guadagnano oggi.
L’intento è colpevolizzare chiunque viva una vita tranquilla mentre dall’altra parte del mondo un bambino muore di fame, rendendoti responsabile di quelle realtà.
Ogni volta che un bambino muore, muore anche una madre. E la prossima morte potrebbe dipendere da te.
Questa strategia di marketing funziona, ma a quale prezzo?
Esiste una stereotipizzazione della povertà, soprattutto legata ai bambini, in cui è permesso sfruttare la privazione della dignità per essere portata in televisione e messa sotto i riflettori, violando i diritti e la privacy di minori.
Nessuna persona desidera essere descritta come miserabile anche se vive in una condizione di estrema povertà
Ebbene si, anche i bambini in Africa hanno una privacy e dei diritti in tal senso, e le ong non hanno alcun ritegno a violarli e approfittarne ogni qual volta divulgano immagini in primo piano di bambini neri impotenti con la pancia gonfia. Contro la strumentalizzazione di queste immagini che hanno lo scopo di colpire emotivamente lo spettatore, a ricordarci razionalmente che tutto ciò è una violenza e una violazione, sono una serie di protocolli e linee guida:
La Carta di Treviso, documento approvato dall’Ordine dei Giornalisti, ha fissato delle regole deontologiche riguardanti l’identità dei minori e la tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Nel caso di bambini malati, feriti o disabili, occorre porre particolare attenzione nella diffusione delle immagini e delle vicende al fine di evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi ad un sensazionalismo che finisce per divenire sfruttamento della persona.
Ad essere violate sono anche le Linee guida per la Raccolta dei fondi in cui si afferma che nei materiali promozionali finalizzati alla raccolta di fondi, le organizzazioni devono […] evitare l’uso di immagini e testi lesivi della dignità della persona, che potrebbero offendere anche solo una parte dei destinatari, […] e discriminatori o denigratori in riferimento a razza, sesso, età, religione […]. Prudenza e attenzione nei casi di utilizzo di immagini forti e potenzialmente scioccanti.
In contrapposizione a questa retorica di abuso, si schiera l’iniziativa dell’Associazione delle ong irlandesi per porre fine alla veicolazione di immagini pietistiche, strumentalizzate a scopo di lucro. La Dochas, rete irlandese per lo sviluppo internazionale e le organizzazioni umanitarie, ha infatti stilato un Codice di Condotta dedicato alle strategie di comunicazione delle organizzazioni alle quali è utile ricevere un feedback sulle loro campagne.
L’impressione è che questo fenomeno del mondo della comunicazione sia destinato a durare a lungo nonostante la narrazione dello sviluppo e della povertà stia facendo passi avanti in un contesto completamente cambiato che non può più giustificare immagini e racconti estremi su fame e malnutrizione come quelli che continuiamo a vedere..Cosa si può fare allora per invertire questa tendenza? Non ci resta che farlo sapere alla ong di turno, manifestando il nostro disagio davanti a immagini così strumentali e pietiste.
Il modello irlandese prende in considerazione semplici aspetti volti a modificare gli stereotipi presenti, contenendo l’impatto di quanto trasmesso, scegliendo immagini che trasmettano valori di rispetto privi di discriminazione, non impiegando i soggetti come merce di vendita bensì coinvolgendoli come persone in grado di esprimere la propria versione dei fatti, rispettando i valori etici soprattutto quando le informazioni personali e la propria immagine negli spot, non vogliano essere divulgati.
Di questo si tratta, persone con diritti e dignità, con aspirazioni e voglia di raccontarsi. Ascoltare anziché ritrarre la pietosità di un corpo malnutrito potrebbe essere la sola via per costruire davvero qualcosa di positivo, che ci smuova razionalmente e non emotivamente.
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