Ed Egli parlò loro, proponendo temi musicali;
ed essi cantarono al suo cospetto,
ed Egli ne fu lieto.
J. R. R. Tolkien, Il Silmarillon
È con una musica, con un canto, quello di Ilúvatar e degli Ainur, che nel vuoto prende forma e si manifesta il mondo. E ,come nelle meravigliose pagine del Silmarillon, anche il nostro mondo nasce da una musica, da un suono. Pensiamo ai miti di creazione: non c’è forse sempre un suono ad accompagnare il momento in cui tutto inizia a prendere forma dal nulla? Che sia una musica, una nota o anche solo una vibrazione appena percettibile, è un suono creatore da cui emana il mondo, da cui divampa una forza creatrice che trova la sua personificazione negli Dèi-cantori, gli Ainur nell’opera di Tolkien, che, cantando, creano il mondo:
Ma giunti che furono nel Vuoto, così Ilúvatar parlò:
«Guardate la vostra Musica!».
Ed Egli mostrò loro una visione, conferendo agli Ainur vista là dove prima era solo udito; ed essi scorsero
un nuovo Mondo.
Nel vuoto, un suono nasce e crea lo spazio, lo ordina, costituendo la prima manifestazione dell’invisibile. Il suono diventa la sostanza originaria di ogni cosa, del mondo stesso che da esso si materializza e che da esso viene conservato e rigenerato. Una nota primordiale che diventa origine e centro e che, insieme al tempo, crea la musica e il canto, manifestazione della forza vitale e forza vitale stessa.
Non è un caso che i popoli indoeuropei facessero nascere il mondo da suoni puri e considerassero l’aurora stessa come luce cantante del Sole. Un binomio indissolubile che si riflette, ad esempio, anche nella tradizione misterica ellenica dove il principio solare, che è centro ed equilibrio, è associato alla nota do, la nota del καρδία, del cuore, la più completa, la più centrale nel pentagramma (chiave di do).
Del resto, se riflettiamo, anche la natura dei primi esseri è acustica e i loro nomi non sono mai definizioni ma suoni propri carichi di una forza magica proprio perché in grado di assumere una funzione creatrice.
Nelle Upanisad i suoni om e aum sono la sillaba «immortale e intrepida» che crea il mondo e da cui nascono e si articolano tutte quelle musiche che ancora oggi muovono l’universo e le sfere celesti.
«Che cos’è? Che musica è questa così intensa e così piacevole, che riempie le mie orecchie?»
Cicerone, cap. 18 Somnium Scipionis
Perché, però, parlare di suoni e, conseguentemente, di musica? Perché legarli a virtù creatrici? Perché la musica (e in questo senso comprendiamo anche il canto) ha una forza magica capace di portare a con-suonare tutto ciò che è in grado di vibrare, compreso l’animo umano.
Se il suono è creatore del mondo, la musica e il canto sono creatori di legami. Gli uomini hanno sempre composto e cantato di eroi, di imprese, di vittorie e di sconfitte, di lutti e amori, di terre e di popoli. È attraverso il canto degli aedi che sono stati in prima istanza trasmessi i poemi fondatori della nostra razza – l’Iliade e l’Odissea – ed è attraverso il canto che si davano coraggio l’un l’altro i soldati delle trincee o esprimevano la loro gioia i contadini nelle feste di Maggio. È attraverso la musica e il canto che si onoravano – e si onorano – gli Dèi o si risvegliano gli animi contro occupazioni e tirannie. Pensiamo alle opere di Verdi, alle musiche di Wagner, ai canti dei vandeani o ad altre migliaia di esempi, dall’opera più composita al canto contadino più semplice: ognuno contribuisce alla creazione di quella Weltanshauung che si manifesta nella storia concreta dei popoli europei.
Oggi ci troviamo di fronte a un tentativo, neanche troppo celato, di distruggere questo spirito e il tentativo di decostruzione e sostituzione passa anche dal mondo musicale. Non è vero, come hanno detto alcuni, che una canzone vale l’altra e, al massimo, è una questione di gusto. Proprio perché canto e musica creano, trasmettono e testimoniano, non possono essere relegati solo a una questione di “gusto”. Canzoni e componimenti sono riflesso della società o della comunità che le produce e trasmettono, appunto, ben determinati messaggi, ora sotto attacco di quella “cancel culture” che non si ferma solo a opere letterarie e statue: le “riscritture” di Mozart, la messa sotto accusa di autori come Puccini o Wagner e la conseguente cancellazione delle loro opere dalle scalette di alcuni teatri non sono che la prova più lampante di questo tentativo di rimpiazzare il nostro patrimonio musicale e di distruggerlo.
«Se vuoi controllare un popolo, inizia controllando la sua musica», scriveva Platone e, pensiamoci, censurare, eliminare o relegare nel dimenticatoio determinati autori non va proprio in questa direzione? Sostituirli con musiche e suoni disarmonici e dissonanti non significa proprio inculcare un modo altro di approcciarci al mondo?
Ci troviamo di fronte a cantanti e artisti (o presunti tali) che per la maggior parte rivendicano la loro non appartenenza a una terra, inneggiano allo sradicamento e a un insieme di (dis)valori che poco hanno a che fare con la Weltanshauung dei popolo europei.
Che fare allora? Rinchiudersi ad ascoltare i classici? Vivere nel ricordo malinconico del passato fatto di dischi, grammofoni e spartiti polverosi? No. Sia chiaro, fanno e resteranno parte del nostro patrimonio culturale ma non basta: questo patrimonio va incarnato, riproposto, rinnovato. La nostra gente non è fatta per vivere in un museo, non è cosa che ci appartiene. Siamo, ricordiamocelo sempre, un popolo di artisti, poeti, di eroi e sarebbe anche ora di smettere di sottovalutare il nostro ruolo nell’attuale panorama politico, sociale e culturale. Le condizioni esterne in cui viviamo non possiedono virtù creatrici. Quelle le hanno i nostri spiriti che possono tornare (o continuare) a trasmettere. Come? Studiando la musica, imparando a musicare, ad accordarsi e, attraverso questo, a trasmettere immagini e visioni.
Utopia? No, perché? Non è forse quello che succede quando ascoltiamo anche le nostre canzoni e viviamo ogni singolo istante dei nostri concerti? I testi e le note degli ZetaZeroAlfa, dei Bronson, degli Amici del Vento e di tanti altri non risvegliano in noi sentimenti di coraggio, ardore, comunità, di vittoria? Non creano immagini che fanno vibrare chi ascolta?
Ecco cosa dobbiamo fare: creare suoni che possano far nascere immagini. Che siano essi accordi di pianoforte, assoli di chitarra, canti o colpi di tamburo, dobbiamo continuare a produrre suoni sempre nuovi perché, se è vero che la musica congiunge, la nostra comunità, la nostra civiltà quando è accordata ritorna ad essere capace di creare immagini, di reincarnare miti, di conservarli e rinnovarli, proprio come il suono conserva e rinnova il mondo ad ogni primavera con il rombo del tuono.
Le nostre armi son le nostre canzoni il nostro oro le voci squillanti!
La nostra marcia Implacabile!
ZetaZeroAlfa, La nostra marcia
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