di Bologna
Guardiamo quella bandiera che sventola da ogni luogo istituzionale dei nostri paesi e città, o che adorna i balconi delle case nostre o dei nostri vicini.
Verde, bianco, rosso; tre colori che ogni Italiano impara a riconoscere fin da quando col grembiulino azzurro si infila in classe il primo giorno delle scuole elementari.
Come per molte parti della nostra storia, le origini di quella bandiera che ci vengono raccontate in qualche paragrafetto a bordo pagina sui libri di scuola non suonano molto convincenti. Il Tricolore italiano, ci viene detto, altro non sarebbe che una diretta emanazione di quello francese, importato in Italia dalle baionette sui moschetti delle armate di Napoleone. A guardare la storia effettivamente apprendiamo che il primo utilizzo ufficiale della nostra bandiera fu proprio quello di bandiera nazionale della Repubblica Cispadana, stato Italiano sorto sulle orme della rivoluzione francese appunto dopo le guerre del Bonaparte. In seguito venne adottata grandemente durante i moti liberali del ’48 e la sua popolarità durante le guerre d’indipendenza spinse i Savoia ad adottarla come bandiera nazionale, ornata dello scudo della nascente monarchia unitaria.
La realtà ovviamente è ben diversa e più profonda. Che si sia trattato di frutto di studi da parte degli ideatori o di una sorta di qualche casuale influenza arcana, la storia dei tre colori che compongono la nostra bandiera è legata a questa terra da millenni prima delle rivoluzioni borghesi. È Adriano Scianca nel suo “La Nazione fatidica” che ripercorre la storia di un Tricolore arcano che pone le sue radici alle origini stesse della fondazione di Roma.
Citando un saggio di Renato Del Ponte, Scianca spiega come questi tre colori fossero ben presenti già nell’immaginario della prima Urbe, legati alle tre tribù primitive che con Romolo fondarono la città: i Titienses (verde), i Ramnes (bianco) e i Luceres (rosso).
Riferimenti a questi tre colori in realtà sono presenti in quello che è il poema fondativo stesso di una prima identità Italica: l’Eneide. È tra i versi di Virgilio infatti che vediamo come il corpo di Pallante, giovane alleato di Enea contro Turno, dopo la morte inflitta dal condottiero nemico venne adornato di ramoscelli di Corbezzolo e rametti di quercia. Nel feretro di Pallante, Virgilio ha voluto vedere appunto, quasi profeticamente, la versione primigenia del nostro Tricolore perché, spiega sempre “La Nazione fatidica”, tra le foglie verdi del Corbezzolo quando già si presentano bacche rosse, spuntano ancora fiori bianchi.
Inutile dire che questa tripartizione dei colori ricalca la tradizione simbolica della tripartizione della società in guerrieri, sacerdoti e contadini, secondo l’organizzazione delle primitive civiltà Indoeuropee, poi sviluppatesi in diverse aree geografiche dall’Europa all’India appunto. Il rosso del sangue, simbolo di forza, si accosta volentieri al bianco della purezza, detentore di un legame spirituale, per poi unirsi in armonia con un colore scuro, che può andare appunto dal verde, al blu scuro o al nero (in questo caso si ottiene la così definita “Bandiera della Tradizione”), simboli di fecondità e del legame con la terra.
L’Italia si inserisce quindi, coi suoi tre colori simbolici, perfettamente nel contesto della sua storia più antica e del legame con tutti i popoli indoeuropei e questo, ricordiamolo sempre, prescinde dall’influenza Napoleonica e della rivoluzione borghese in Italia.
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