Roma, 28 Ottobre 2022:
“Siamo in rivolta, e questa parola invece di farmi meditare come dovrebbe accadere ad una persona normale, mi mette addosso una gioia sottile”, questa la reazione all’annuncio della Marcia su Roma che descrive nel suo diario Mario Piazzesi, giovane squadrista della Disperata di Firenze. Poche parole che nascondono dentro un mondo. C’è il disprezzo per la vita borghese, il gusto per il combattimento, quell’elettricità che attraversa l’aria prima di una grande impresa, c’è la voglia di avventura e di cambiare il mondo, ma soprattutto la gioia. Quella pazza gioia che solo chi davvero vive e combatte può capire.
Ed eccoci qui ad un secolo di distanza da quel 28 ottobre 1922 con la stessa gioia sottile e la stessa voglia di rivolta. È ironico che, in tempi di vigliaccheria diffusa come i nostri, la Marcia su Roma venga definita come una buffonata, una kermesse tragicomica, una sfilata farsesca. Ma fu impresa contro tutto e tutti, solo la sua perfetta riuscita l’ha fatta figurare più facile del previsto e ne ha oscurato i pericoli.
Quella del 28 ottobre fu rivoluzione vera, preparata da anni di scontri, contro gli sgherri rossi e quelli del Re. Quando i Fascisti si presentano a Roma hanno già il controllo di gran parte del Paese, avendone già conquistato i luoghi strategici come infrastrutture e prefetture. Mancava solamente l’ultimo atto, la spallata decisiva ad uno Stato liberale ormai esangue. La forza d’urto squadrista è riconosciuta dallo stesso “Duca della Vittoria” – Armando Diaz – che consiglia al Re di non mettere alla prova l’esercito. In effetti, i 30mila armati in camicia nera che avevano marciato sulla Capitale, di cui tantissimi venivano direttamente dalle trincee della Grande Guerra, sarebbero stati un esame durissimo per chiunque.
È difficile dire in breve ciò che è stata la Marcia su Roma e cosa rappresenta ancora oggi. È l’insorgere di un’intera generazione, quella generazione del fronte che si vendica su chi la Vittoria l’aveva tradita. È la trincerocazia degli Arditi e l’artecrazia dei Futuristi. È il fuoco di Fiume che viene redento e donato all’Italia. È la volontà interventista e l’avanguardia massimalista. È il lungo cammino risorgimentale che si compie: il sogno di Mazzini, la religione della Patria e culto del coraggio. Ma soprattutto è giovinezza. Che i fascisti “erano giovani, erano l’avvenire” lo scrive Venner e lo testimoniano i numeri: l’età media era di circa 23 anni e il 40% di loro erano studenti. Giovani scapestrati che a guardarli sembrano pirati di Salgari, ma che si fanno avanguardia e si pongono alla testa di un’intera Nazione. L’eternità della loro impresa è in una promessa che si rinnova di continuo, è una sfida mai sopita, è una fiamma che non si spegne: è Rivoluzione.
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