Di Bianca
“Gladio”, “gladiatori”: parole evocative, potenti, identitarie; soprattutto in questa Italia imparagonabile a quella così lontana nel tempo, avvolta nella storia di secoli e secoli fa, volta a incarnare il mito millenario di Roma. Sono immagini che richiamano all’eternità, anche se la popolarità degli epici scontri nel Colosseo iniziò progressivamente a decadere con la diffusione del cristianesimo, fino a scomparire definitivamente nel V secolo. I gladiatori sono stati sempre destinati a diventare una delle eredità più iconiche e famose dell’Antica Roma, e le loro figure affascinano e ispirano ancora oggi storici, scrittori e artisti.
Ai tempi dei nostri avi romani se ne contarono migliaia e migliaia, ma nel secolo scorso i numeri dei “gladiatori” accertati arrivarono a circa un migliaio. I gladiatori della seconda metà del Novecento, però, non erano forti combattenti in un’arena disposti a lottare fino all’ultimo sangue per la loro vita. Erano cellule operative di un’azione paramilitare che intervenne violentemente nella politica del nostro Paese nel dopoguerra, e i cui sviluppi non sono ancora completamente venuti alla luce. Stiamo parlando di Gladio, un’operazione intrapresa dagli Stati Uniti impiegando servizi segreti oltreoceano e nostrani: una serrata sorveglianza allo scopo di intercedere direttamente nelle dinamiche politiche italiane, ricorrendo alla collaborazione diretta con la mafia e (in parte) anche con l’estrema destra, tramite il passaggio di più informazioni utili possibili per conto di Washington e il sabotaggio, senza escludere l’uso delle armi.
Vista la complessità dell’argomento, in questa sede non è possibile trattare nel dettaglio i nomi e le date legate a Gladio; né ripercorrere le indagini (ancora in corso) a partire dagli anni Novanta, quando venne ammessa la sua esistenza per la prima volta in pubblico, a decenni di distanza. Sembra paradossale, se non assurdo, che un’operazione di tale portata, una parte così rilevante della nostra storia nazionale, sia rimasta praticamente sconosciuta. Eppure quegli avvenimenti non solo hanno gravato sul nostro presente (e sul nostro futuro), ma presentano dei risvolti tremendamente attuali: non si può permettere che continuino a fare parte di quelle pagine di storia che, chissà perché, non vengono aperte.
Prima di parlare di Gladio in sé, però, è necessario conoscere i retroscena che hanno portato a una delle più gravi violazioni organizzate della nostra sovranità.
Era il luglio 1943 quando le forze militari statunitensi sbarcarono sulle nostre coste in Sicilia e ha inizio l’occupazione del nostro paese firmata USA. L’Italia, stremata dal conflitto mondiale e dalla guerra civile, era ormai condannata a essere una colonia nel Mediterraneo subordinata a una potenza straniera. Nonostante il commovente lieto fine a cui da sempre ci hanno abituato, con la sconfitta dei fascisti brutti e cattivi e con tutti che vissero per sempre felici e contenti, le ostilità fra gli invasori americani e le armate partigiane non si fecero attendere, portando a delle conseguenze che avrebbero stravolto il futuro dell’Italia.
Già nel primissimo dopoguerra si profila un altro conflitto, quello della Guerra Fredda, in cui l’Italia si trova pienamente coinvolta a causa della sua posizione, schiacciata fra i due blocchi: a ovest, il blocco atlantico dei territori che poi andranno a gonfiare le file della NATO; e a est quello sovietico, andando a confinare direttamente con la Jugoslavia. Nonostante la massiccia occupazione americana, l’Italia è ancora contesa fra le due superpotenze, con i partigiani comunisti che godono tanto della loro immensa popolarità quanto dei fondi che Mosca fornisce e assicura da anni. Una popolarità, quella rossa, dai rischiosi risvolti politici per gli Stati Uniti. Dettaglio ironico, se consideriamo che solo pochi anni prima, durante il conflitto mondiale, gli Stati Uniti avevano di buon grado rifornito i partigiani di finanziamenti e materiale bellico… ma questa è un’altra storia.
E se Mosca ha le sue pedine, così anche gli Stati Uniti. Lo sbarco in Sicilia del ’43 era stato possibile grazie alla collaborazione e all’accordo con la mafia locale, che da quel momento rimase un fedele alleato nel controllo delle linee politiche italiane. “La mafia per la sua natura anticomunista è uno degli elementi cardine che la CIA ha usato per controllare l’Italia”, conferma Victor Marchetti, direttore della CIA dal 1955 al 1969. Serviva quindi perfettamente allo scopo, così come alcuni appartenenti dell’estrema destra, anche se questi in realtà non furono che una minoranza. Le successive indagini dei primi anni Duemila hanno riscontrato infatti che su 622 gladiatori iniziali del dopoguerra, 9 erano dichiaratamente fascisti. La stragrande maggioranza degli operatori Gladio era dunque innegabilmente democristiana, e solo in parte si trattava della precedente burocrazia fascista.
La possibilità della nascita di un governo di sinistra filosovietico diventa spaventosamente concreta per gli Stati Uniti quando alle elezioni del 1948 si presenta il Fronte Democratico Popolare, alleanza fra il PCI e il PSI, niente meno che la più grande unità d’area di sinistra in Occidente. La coalizione si scontra con il partito della DC, dalle forti posizioni atlantiste e primo strumento politico degli USA. Segue una campagna elettorale ferocissima, condita dall’onnipresente supervisione di Washington e dai suoi interventi fra propaganda e finanziamenti alla DC.
È in questo contesto che viene fondato il SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate), il primo servizio segreto italiano del dopoguerra. Rispondeva al Ministero della Difesa e ai dettami NATO, oltre a prendere le linee operative direttamente dalla CIA, che aveva finanziato di tasca propria il sabotaggio elettorale in Italia. Sarà un protocollo ufficiale di collaborazione fra CIA e SIFAR che citerà per la prima volta Gladio, formalizzandola il 26 novembre del 1956.
Ma la DC, come risaputo, finirà per prevalere sui rossi con uno storico 48% alle elezioni. Ed è proprio nel 1949 che l’Italia viene inserita fra i paesi NATO, una volta scongiurata la “prima ondata” del pericolo comunista, creando un fronte atlantista contro l’URSS. L’Italia infatti non è l’unica a subire una feroce sorveglianza a stelle e strisce: anche in Grecia, Germania, Svizzera, Austria, Belgio, Norvegia, Paesi Bassi, Danimarca e Turchia si formano delle organizzazioni segrete affini, ubbidienti al motto “Stay Behind”.
La prima fase dell’operazione Gladio prevedeva infatti la fondazione di un assetto militare e politico contro un’eventuale invasione del nemico rosso, per rafforzare la presenza degli Stati Uniti nel Mediterraneo e in Europa. Tutte operazioni da svolgersi dietro le quinte, e tutte sicuramente parte di un tessuto di manovre ancora più grande e complesso, di cui però al giorno d’oggi ancora non si conosce il nome.
Come dichiarerà poi, anni dopo, il senatore Andreotti, Gladio era disposta anche ad azioni di contro-guerriglia in caso di invasione militare, con tanto di truppe della DC armate a Roma pronte a intervenire nel caso di un risultato elettorale poco gradito. Nella fase successiva dell’operazione si assistette a una vera e propria occupazione dell’Italia da parte delle forze armate statunitensi, che finì per precedere le elezioni del 1953, in cui l’alleanza socialista-comunista passò dal 31% al 35%.
Un piccolo campanello di allarme, che però si concretizzò a partire dagli anni 60 con le prime proteste di strada contro il governo, dove sembrò che la sinistra potesse riprendersi un ruolo in politica attraverso le piazze. Fu allora che Gladio cambiò direzione di tiro: il problema non era più tanto l’URSS esterna, quanto le forze politiche rosse interne all’Italia.
Per ripararsi dalle possibili insorgenze filosovietiche, il Pentagono emanò una direttiva di estrema segretezza in cui sanciva la collaborazione fra CIA e SIFAR per avviare operazioni paramilitari, politiche e psicologiche al fine di destabilizzare i comunisti italiani. “Non si può negare che ‘interferenze’ di questo tipo siano illegali”, puntualizzerà poi William Colby, direttore CIA dal ’73 al ’75. Il modus operandi era la destabilizzazione dell’Italia per garantirsi il controllo non più solo politico, ma anche sociale: quella strategia della tensione che verrà citata da Pier Paolo Pasolini come un “sistema di protezione del potere”.
Commenti recenti