di Rocco

Già qualche anno fa dovevamo comprendere come la società moderna avesse non soltanto iniziato a deviare la nostra attenzione sui veri temi oggetto del dibattito politico, culturale ed economico del nostro paese, ma anche a capovolgerne la priorità e il loro valore.

Siamo oggi spettatori sterili e inconsapevoli di accadimenti, anche a livello mondiale, che vengono raccontatati e presentati dalla stampa, dalla televisione e dalla radio con ritmi e modalità che ne modificano la loro vera portata e il loro reale impatto sulla vita dei cittadini.

In altri termini, tanto per fare un esempio recente, si è passati dal raccontare della guerra in Ucraina con una dovizia di particolari e con una attenzione che assorbiva inizialmente gran parte delle pagine della stampa e dei programmi televisivi e radiofonici, al trattare di tale evento come una qualsivoglia notizia di carattere generale, come fosse osservata con un binocolo che solo in parte ne possa vedere gli effetti disastrosi.

La caduta del governo ha stravolto le priorità dell’informazione e ha modificato l’ordine dei valori, come se i fatti di politica estera – seppur gravi e potenzialmente pericolosi sul piano della sicurezza e dell’economia – non impattassero più sulle nostre vite quotidiane e non meritassero più gli ampi spazi occupati sino al giorno precedente detta caduta.

L’informazione ha di fatto deciso a quale tematica si debba dare la massima diffusione, monopolizzando la nostra attenzione con un cambio di passo che i cittadini non riescono neppure a percepire pienamente, meno che mai a modificarne i tempi e i contenuti.

Il problema non è ora capire se la caduta del governo meriti o meno maggiore attenzione dei fatti di guerra, ma valutare sino a che punto siamo o meno consapevoli che il consumismo di cui è intrisa la società si è esteso a tal punto da condizionare più che i nostri modi di vestire o di alimentarci, la nostra capacità di ragionare, di scegliere e di esprimere una opinione.

Fino a che punto l’informazione utilizzata ad uso e consumo dei cittadini potrà causare la nostra agonia culturale? Fino a che punto potrà incidere sulla nostra capacità di ribellarci agli slogan che accompagnano la comunicazione politica allorché racconta e descrive i tentativi di alleanza tra i vari partiti o tra i vari movimenti politici.

Si assiste ad una informazione che non soltanto ha quasi smesso di raccontare in dettaglio i fatti di guerra, ma che ha affronta il dibattito politico utilizzando slogan con caratteri anche grammaticali ridotti e con modi che quasi annullano o, comunque, delimitano fortemente il reale valore che lo stesso ha sempre avuto in ogni società civile.

Se solo qualche anno fa avessimo compreso che le nostri menti e il nostro tempo dedicato ad informarci stavano correndo il rischio di essere manipolati, forse ci saremmo fermati e avremmo iniziato a contribuire a costruire una società il cui uso e consumo è deciso e determinato dai cittadini e non subito da questi.

Siamo ancora in tempo per modificare le cose?