di Enrico
Sembrava non dovessero mai arrivare e invece ci siamo quasi: tra meno di due mesi si vota. Queste elezioni sono quasi piombate dal cielo, ormai non ce le aspettavamo quasi più.
Sorvolando su questioni che ormai sono su tutte le prime pagine, percentuali, sondaggi, coalizioni, possibili future formazioni di governo, la domanda che è più che mai necessario porsi è questa: davvero la democrazia è il miglior sistema di governo?
Secondo le parole di Churchill essa sarebbe la peggior forma di governo, salvo tutte le altre forme sperimentate sino ad ora. In altre parole, la democrazia non è il massimo, ma per ora non ci siamo inventati nulla di meglio. Ma siamo davvero sicuri che sia così?
In gran parte degli stati occidentali sta aumentando la sfiducia verso la democrazia. Basti pensare ai record di astensionismo che hanno recentemente investito persino la nazione che, dalla Rivoluzione in poi, è sempre stato uno dei maggiori laboratori politici europei: la Francia.
E in tutto questo il nostro paese non fa eccezione, anzi, questo sentimento di sfiducia è sempre più alto anche da noi. In un paese che ha autonomamente demolito la politica e la democrazia “dall’interno”, a colpi di riforme discutibili sul numero dei parlamentari e via discorrendo.
Detto tutto ciò, il problema resta: la democrazia è davvero la miglior forma di governo? Analizziamo la questione pezzo per pezzo.
Innanzitutto, da dove viene la democrazia e che cosa vuol dire? Come sappiamo fin dalle elementari la democrazia l’hanno inventata i Greci e di per sé vuol dire “governo del popolo”. Ma ovviamente la democrazia greca era molto diversa dalla nostra.
Democrazia per i Greci, in particolare per gli Ateniesi, voleva dire che ogni decisione riguardante la polis deve essere presa dal popolo (o meglio, non proprio tutto il popolo, ma gli adulti maschi, nati ad Atene da genitori ateniesi) il quale, riunito in assemblea, vota e decide su ogni cosa, dalla più importante alla meno importante. E questo sistema lo applicavano ad ogni aspetto della vita pubblica, dalla scelta degli strateghi (i comandanti militari) al verdetto dei processi; ad esempio, Socrate non è stato condannato da un magistrato, ma da un’assemblea estratta a sorte che ha decretato la sua condanna.
Questo sistema è ben diverso dalla nostra democrazia rappresentativa, in cui il popolo non sceglie cosa fare ma, semplificando molto, “sceglie chi deve decidere”.
La sfiducia verso tale sistema sorge quando chi delega ad altri il potere decisionale, ha la sensazione che costoro non decidano più in base ai criteri e ai valori per cui erano stati scelti.
Ma il problema più grave della democrazia è la sua caratteristica atomizzante. Se davvero conta l’opinione di tutti, la società si va disgregando. La società si frammenta inevitabilmente in partiti, fazioni rivali. Sul superiore interesse nazionale, prevale l’interesse individuale, l’interesse di classe, l’interesse economico. Ognuno vota in base ai propri interessi; ad esempio, un imprenditore tendenzialmente voterà un partito che tuteli i suoi interessi (e quindi voterà più facilmente un partito liberale).
Ma questo va contro il concetto stesso di politica (un’altra parola di derivazione greca), cioè il perseguimento dell’interesse della polis. Non si vota seguendo quella che Jean-Jacques Rousseau chiamava Volontà Generale, ma seguendo la “volontà individuale” (termine che Rousseau non utilizza, ma è per capirsi).
Ma esiste un possibile antidoto contro l’atomizzazione democratica? Posto che pretendere che in ogni individuo si sviluppi una naturale tendenza a seguire la Volontà Generale è abbastanza utopistico, la naturale soluzione sarebbe quindi riproporre l’idea di Volontà Generale ma con una persona terza che la incarni e la attui. Il problema però è che una cosa simile era sorta proprio in Francia nel cosiddetto periodo del “Terrore”, dove c’era un uomo (Maximilien de Robespierre), con alle spalle un organo istituzionale (il Comitato di Salute Pubblica), che decideva con il preciso obiettivo di seguire la Volontà Generale. In altre parole, un individuo che sia in grado di realizzare il bene pubblico, anche attraverso mezzi molto duri. L’utilizzo di qualunque metodologia non era un problema poiché, come abbiamo già detto, il bene individuale è subordinato a quello collettivo; quindi, quelli che allora erano i nemici della Rivoluzione potevano essere sacrificati senza problemi in nome della salvaguardia dello Stato e della Rivoluzione e quindi del bene pubblico.
Insomma, come si può ben vedere, la questione è vasta e bisogna quindi diffidare da chi propone soluzioni semplici o peggio ancora slogan. Ragionarci sopra è molto stimolante, anche se non è facile venirne a capo. Ma due cose certe ci sono: la democrazia non è il male minore come sosteneva Churchill e le elezioni che presto arriveranno non porteranno di certo la ventata di fresco che in molti aspettano, ma saranno soltanto l’ennesima e più profonda manifestazione di quell’atomizzazione democratica di cui abbiamo parlato sino ad ora.
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