Di Bologna
La storia della guerra di Troia è impressa nell’immaginario collettivo di tutti i popoli Europei. Le vicende eroiche narrate da Omero nell’Iliade hanno influenzato in maniera indelebile la cultura del nostro continente, che proprio su esse per anni ha improntato un profondo carattere pedagogico ed il continuo tramandarsi dei valori che distinguono quegli eroi.
L’Iliade però narra solo un piccolo brandello di quella che è stata una vera e propria guerra epocale di quell’epoca ancestrale. Nel poema che ci è pervenuto infatti vengono lasciati volutamente da parte centinaia di avvenimenti e personaggi che hanno costellato la caduta della ricca città dominatrice dello stretto dei Dardanelli.
Oggi quindi scopriremo insieme le gesta di un altro protagonista che l’Iliade non ci ha tramandato: Neottolemo, il valoroso vendicatore di Achille, nonché suo figlio.
Dopo il rapimento di Elena da parte di Paride, le forze degli Achei in fibrillazione si radunarono sotto i vessilli del sovrano di Micene: Agamennone. Non tutti i re furono però lieti di questa chiamata alle armi; è noto infatti lo stratagemma di Ulisse, fintosi folle per evitare la convocazione ma poi smascherato dagli emissari di Micene e costretto a partire.
Ulisse non fu il solo eroe a cercare di evitare la chiamata. Teti, la divina madre di Achille, nascose infatti il giovane figlio a Sciro, travestendolo da donna. Qui l’eroe sedusse la principessa Deidamia che gli donò un figlio: Neottolemo appunto.
Gli stratagemmi di Teti non servirono a cambiare il destino del grande Achille che partì comunque al fianco del grande esercito di Agamennone, ma qui la cronologia della guerra si discosta dalla storia cui siamo abituati. Se è vero che la guerra nelle piane di Troia durò di per sé circa dieci anni, è anche vero che fu preceduta da una spedizione errata degli eserciti achei, giunti erroneamente in Misia causando una grande devastazione e poi tornati in patria; prima della seconda adunata (quella della effettiva guerra di Troia) passarono quindi otto anni.
Neottolemo, chiamato “Pirro” (il fulvo) per i biondi capelli ereditati dal padre, cresce quindi senza mai conoscere il prode Achille. Legato ad una profezia sulla caduta della città, dopo dieci anni di guerra (Neottolemo quindi ne ha ora circa diciassette) gli araldi del re degli Achei si recarono a Sciro per chiamarlo alla battaglia come suo padre prima di lui. Il giovane non esitò a partire al seguito di Ulisse e sotto le mura di Troia si coprì di valore, tanto da guadagnarsi il protagonismo del II canto dell’Eneide.
Grande amico di Filottete, l’arciere che aveva vendicato suo padre Achille uccidendo Paride, ‘Pirro’ è tra i pochi guerrieri infiltratisi in città dentro il ventre del Cavallo di Troia; durante la caduta della città fa strage di nemici tra cui il grande re Priamo, sebbene implorante davanti ad un altare sacro: è la furia guerriera e sanguinaria di Achille che prende possesso del giovanissimo erede del mirmidone.
In preda alla furia, Neottolemo deve estinguere la stirpe di Priamo come sacrificio verso il valoroso padre morto a Troia. Per questo motivo strappa il neonato Astianatte (figlio di Ettore) dalle braccia della madre e lo scaraventa giù dai bastioni del palazzo reale.
Dopo il saccheggio il giovane sacrifica sulla tomba del padre la bella Polissena, figlia di Priamo; torna poi in Grecia conducendo come sua schiava Andromaca, la moglie di Ettore. Sposatosi con la bella Hermione, figlia di Menelao, Neottolemo Pirro diviene signore dell’Epiro e fonda una dinastia le cui tracce si possono ritrovare anche centinaia di anni dopo, in quel Pirro che tanto mise in difficoltà le legioni romane in sud Italia.
Ecco perché Alessandro Magno poté vantarsi di discendere da Eracle da parte di padre (sovrano Macedone) e da Achille da parte di madre (principessa Epirota).
Il giovane Neottolemo può sembrare alla prima analisi un sanguinario guerriero dedito solamente a morte e stragi, ma il suo comportamento è perfettamente in linea con la missione sacra che l’essere erede di Achille comporta. Egli è il vendicatore del padre, l’acqua venuta a spegnere il fuoco della genia di Priamo, il giovanissimo prosecutore di quell’Ira funesta che Omero stesso ci ha cantato.
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