Di Marta

L’armi, qua l’armi: io solo
combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
agli italici petti il sangue mio.

Amore, guerra, sacrificio. Non sono le parole che ti aspetti dal poeta che più di tutti viene presentato nei programmi scolastici come triste, depresso, imbelle. L’ombra di un uomo annichilito tra un esasperato sentimentalismo e un pessimismo senza alcuno slancio. Eppure è proprio Leopardi che scrive, infiammando i cuori dei giovani italiani con versi guerreschi e virili.

Gli scrive, non a caso, Pietro Giordani che questa sua canzone gira per questa città come fuoco elettrico: tutti la vogliono, tutti ne sono invasati.

Leggendo All’Italia è infatti difficile non sentire nel cuore una fiamma viva che torna ad ardere e bruciare, carica di sdegno di fronte al mondo abbruttito che ci circonda. È difficile, se non impossibile, non cogliere un invito all’azione e non ad un’azione qualunque ma a un sacrificio eroico, che tutto punta a risvegliare gli animi dal torpore in cui sono caduti.

Non è certo questo il Leopardi cui ci hanno abituato e che tutti abbiamo, stupidamente, troppo spesso relegato al manuale scolastico, senza approfondire. Il poeta di Recanati ci regala, invece, incredibili e lucide visioni che rivivono e si incarnano nel tempo presente.

«La scarsezza di anime grandi, scrive, dipende dai progressi della ragione e della civiltà, e dalla mancanza o indebolimento delle illusioni.

È il mondo che viviamo ora, sfiancato dal progressismo, abbagliato della scienza che diventa fine e non più mezzo, imbrigliato dal miraggio dei diritti, senza più sogni e idee per cui combattere.

È un mondo che, più di altri, ha bisogno di eroi che riportino la virtuosa illusione al centro dell’agire individuale e comunitario.

Virtuosa illusione che altro non è che la Patria, l’unica in grado di elevare l’uomo anziché abbruttirlo, l’esatto contrario della smania dello spirito moderno di voler ridurre tutto il mondo a un’unica nazione.

Ecco allora che in Leopardi ritroviamo le nostre battaglie quotidiane contro la follia del globalismo che, dietro alla maschera dell’amore e del bene universale, vorrebbe cancellare confini, sradicare i popoli, rendere arida la terra recidendone il legame col sangue.

Quando tutto il mondo fu cittadino Romano, Roma non ebbe più cittadini. E quando cittadino Romano fu lo stesso che cosmopolita, non si amò né Roma né il mondo e l’amor patrio di Roma, divenuto cosmopolita, divenne indifferente, inattivo, nullo. Quando Roma fu lo stesso che il mondo, non fu più patria di nessuno, e i cittadini Romani, avendo per patria il mondo, non ebbero nessuna patria – Zibaldone

Come scrive Scianca, la Patria diventa qui il vero antidoto all’omologazione culturale: riscoprendo il legame con il nostro sangue, la nostra terra, la nostra storia, possiamo essere argine di fronte al nulla che avanza. Ritrova te stesso, insomma: non era e non è solo uno slogan, è un imperativo da scolpire nel marmo.

Ritrovare noi stessi significa anche fare lo sforzo di andare oltre, a scuola o nelle università, a quello che ci viene fatto leggere. Significa avere la curiosità (“Questo è il mio consiglio ai giovani: avere curiosità” – E. Pound) di approfondire, esplorare, riscoprire. Solo così possiamo contrastare l’operazione di distruzione del nostro popolo cui stiamo assistendo giorno dopo giorno e combattere quell’individualismo esasperato. Come? Formandoci e formando chi abbiamo intorno come individui consapevoli in grado di orientare il proprio mondo, di far circolare idee, di creare e far parte di una comunità nazionale.

L’alternativa, come scrive Leopardi, rimangono il passeggio, gli spettacoli, le Chiese, diventati espressione di un’inutile e vuota omologazione sociale.

Non ci sono altre scelte o altre strade. A noi la scelta se arrenderci o essere ostinate ginestre, fiori gentili, che nascono e sbocciano dove nessun altro osa più.