Di Alessia

Il tema del fine vita è oggi in Italia un interminabile limbo oggetto di continui dibattiti.

I contrari all’eutanasia e al suicidio assistito, sostengono la propria opposizione introducendo il principio fondamentale della tutela della vita contro chi incentiva alla morte.

«Il diritto al suicidio usato come monito affinché nessuno si chieda se c’è un’altra possibilità, se davvero la morte è l’unica cura» scrivono alcuni giornalisti.

Il riferimento di queste ultime parole è alla medicina palliativa, la disciplina volta a garantire sollievo dalla sofferenza fisica nel momento in cui una malattia non ha più alcuna aspettativa di cura, essa considera dunque la morte come un evento naturale.

Nella realtà, le cure palliative aiutano realmente i pazienti a vivere in maniera attiva fino alla morte, ma per molti altri malati questo però non basta, in particolare per chi afflitto da malattie non terminali.

In parallelo ad essa viene anche praticata la terapia del dolore nei confronti di persone sottoposte a dolori elevati e quindi attenuati da farmaci. Ciò che però è importante osservare, è che la linea che separa questa pratica dall’accanimento terapeutico è in molti casi molto sottile.

«Abbiamo già il diritto di rifiutare qualsiasi cura e di morire quando vogliamo, senza bisogno di legittimare l’orrore dell’eutanasia. Basta rifiutarsi di mangiare e bere, ed entro 5 o 6 giorni si muore, naturalmente sedati per non soffrire. La sedazione è un diritto e non viene negata a nessuno, non è eutanasia» dichiara Sylvie Menard, uno dei tanti medici obiettori.

Per sedazione profonda si intende un trattamento che porta il paziente a uno stato simile al coma, inducendolo in uno stato di incoscienza e dunque di non reattività al dolore. Stato che, sostenuto dall’alimentazione e idratazione artificiale, persiste, non riducendo nel breve termine alla morte dell’assistito.

Spesso però, l’oggettività di queste storie, che tanto sembrano lontane dalla nostra visione e concezione, celano una realtà differente; per chi decide la morte a una vita di stenti, infatti, la sedazione palliativa non può essere contemplata e accettata perché non corrispondente al diritto assoluto di morire con dignità.

La sedazione palliativa e l’accanimento terapeutico, costringono a letto persone incoscienti per diverso tempo, decubitati dalle piaghe, con ogni sfintere del proprio corpo occupato da presidi e assistiti in queste condizioni dai propri cari costretti ad oggi ad accompagnarli in un percorso straziante di disfacimento del corpo perché privati del diritto di accompagnare i propri cari a una morte pacifica, morale e meno traumatica possibile.

Per fare un po’ di chiarezza, per suicidio assistito si intende l’accompagnamento al fine vita da parte di un medico in seguito a prescrizione di farmaci che inducono il decesso. Essa differisce dall’eutanasia in quanto l’atto concreto di togliersi la vita è interamente compiuto dal soggetto, come avvenne nel caso di DJ Fabo, rimasto tetraplegico dopo un incidente stradale, il quale grazie all’associazione Luca Coscioni riuscì in Svizzera a porre fine alla sua vita.

«Siamo schiavi di uno Stato che ci costringe ad andare all’estero per liberarci da una tortura insopportabile e infinita». 

Il giorno 16 luglio 2022 però potrebbe forse segnare una speranza per chi reclama il diritto di scegliere della propria morte quando la medicina e la palliazione non bastano.

Federico Carboni, 44enne affetto da tetraplegia, ottiene il suicidio medicalmente assistito in Iitalia grazie all’associazione Luca Coscioni, morendo con dignità e serenità tra le mura di casa sua e l’affetto dei propri cari, ponendo fine alle sue sofferenze che non potevano più dirsi vita, e che avevano già da tempo posto fine ad essa.

«Essendo stato il primo in Italia ci ho messo 20 mesi e mi auguro che le prossime persone che ripercorrono la mia strada ci mettano molto meno tempo perché 20 mesi per chi sta male e soffre sono veramente veramente lunghi.»

Nel reparto di terapia intensiva del più grande ospedale milanese questa realtà si respira e si tocca. È commosso il dottore che esce dalla camera 12, dove una giovane moglie stringe piangendo un povero scheletro che urla.

«Non ti abitui a vedere un ragazzo di trent’anni che muore mangiato dal dolore. La verità è che ogni medico tocca il limite dove l’accanimento supera la cura. Dove la morte supera la vita. Da lì in poi è giusto staccare la spina.»