Di Elena
È ormai assodato che nel 2022 fare informazione è una missione più che un mestiere. Per informazione non si intende il classico telegiornale che accompagna il brodino della sera e che fin dagli anni cinquanta fa da sottofondo alle cene di famiglia. L’informazione è un’altra cosa: è rendere partecipe la massa degli avvenimenti e dei meccanismi che fanno progredire o regredire questo mondo.
Insomma, più che un semplice mestiere quello del giornalista è, idealisticamente parlando, una missione.
Soprattutto nella contemporaneità dominata dalla globalizzazione che tiene connessi zone molto lontane del globo (se queste lo permettono s’intende). Se prima (fino alla cosiddetta Prima Repubblica) per fare una panoramica della propria vita era sufficiente interessarsi della politica nazionale, ora serve tenere sotto controllo le sovrastrutture che decidono del nostro futuro.
In un momento così delicato e di transizione, essere ben informati su ciò che ci circonda è di fondamentale importanza, in special modo per la nuova classe dirigente: i giovani e giovanissimi che si distaccano in maniera sempre più preoccupante dal mondo della politica. Le colpe, se di queste è giusto ormai parlare, vanno ricercate nel passato del nostro paese, nell’attuale e nella precedente generazione di padroni che hanno annichilito le nuove generazioni. È certo poco invitante per un ventenne farsi un po’ di cultura politica se i nostri ministri e politici vendono Coca-Cola allo stadio (lavoro di tutto rispetto) o spacciano lauree e diplomi che non hanno, riferimenti puramente casuali all’ex ministro (pardon ministrA) dell’educazione Fedeli.
Con una marmaglia di incompetenti patentati come questi, che tutto il mondo deride (a ragione), il giovane, oltre che sentirsi in giustificato imbarazzo tende a prendere le distanze o escludersi del tutto dallo scenario politico. L’alternativa è seguire le orme dei genitori o incaponirsi nel voler opporsi a questo martellante stato di degrado in cui sta affossando la nostra politica. E qui subentra chi nello spirito dei giovani ci crede, lo custodisce e lo anima: Noi. Chi è pienamente consapevole dell’impatto prorompente ed impetuoso che una generazione di anime fanciulle può avere su un paese in rovina.
I giornalisti, avrebbero in teoria il compito di svegliare le coscienze e rendere partecipe il popolo di ciò che accade in maniera quanto più oggettiva possibile (non pretendiamo l’impossibile, conosciamo bene la componente soggettiva che regola l’animo umano). Invece questi ‘’giornalai’’ hanno cresciuto generazioni di persone che amano dare fiato alla bocca. La ”generazione dei periodici’’ (o dei social) vive tra di noi, come aveva saggiamente predetto Nietzsche. Non si legge e non si studia, non ci si informa e ci si accontenta. Le soglie di attenzione sono talmente basse che persino i comici non ci fanno più ironia. Se qualcosa non è confezionata sul mercato non esce più. Le librerie sono diventate luoghi di indottrinamento dove trovi solo testi che acclamano un ordine mondiale che uccide l’individualità e vuole l’omologazione del singolo. Ora nelle vetrine delle librerie si trovano solo libri di ‘’politologi’’ del livello di Scanzi o Saviano, libri sul mostro che terrorizza l’Occidente: Putin, libri sulla nascita di una nuova cultura che abbatte le frontiere.
Qualsiasi giornalista si opponga alla narrazione unica o che provi anche solo ad accennare che esiste una controtendenza, viene immediatamente allontanato. Ultimo il caso di Orsini, cacciato dalla Rai. Ma tanto il canone Rai lo paghiamo perché quegli spiccetti in tasca ci pesano.
Quindi che fare? Il nostro obiettivo non deve essere quello di lasciare il campo per ritirarci ad una vita di eremiti custodi della verità. Il nostro compito deve essere quello di usare i loro mezzi contro di loro, fare i giornalisti che informano e non che impartiscono stupide e assurde lezioncine di morale. Dobbiamo impossessarci dei social nonostante la censura, è lì che si trova chi in maniera più o meno latente è disposto ad ascoltare e a fare un coraggioso passo avanti. L’idea di rinnovarsi e trovare nuovi modi di comunicare deve rimanere lo scopo principe.
Il coraggio di fare informazione nei limiti imposti dalla censura è una missione. Il coraggio di propagandare la verità è una missione. Anche se il pubblico può inizialmente rimanere ristretto, la macchina non deve e non può fermarsi. Giornalista o messaggero non è chi apre la busta paga a fine mese perché ha fatto il compitino. Giornalista in senso puro, quindi spogliato di quella patina di diffidenza che oggi ragionevolmente avvolge questa professione, è chi trasmette la verità per svegliare le coscienze di un popolo che rischia l’estinzione, spirituale prima e fisica poi. Giornalista è chi, prima o poi, riceverà gli onori che merita perché essere nel giusto vuol dire arrivare alla vittoria, non importa il tempo o il sudore che sputa, risalendo la cima.
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