di Michele
Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è tornato di moda il nome di Aleksander Dugin. L’autore de La quarta teoria politica è divenuto per l’opinione pubblica colui che ha creato il retroterra culturale di questa guerra, con tutti i fraintendimenti del caso, sia da parte delle testate mainstream che da parte dei filo-putiniani. Fra questi ultimi si è fatta strada l’idea che l’invasione dell’Ucraina sia un passo obbligato per la creazione di un mondo multipolare da opporre a quello unipolare americano. Un’idea che nasce dal saggio duginiano del 2013 e pubblicato in Italia nel 2019 Teoria del mondo multipolare. Un’idea che però presenta più di una difficoltà.
Dugin di certo non è quel Rasputin di Putin che molti cercano di descrivere. Non bastasse il fatto che lo stesso Dugin ha spesso fatto critiche ferocissime a Putin e che quest’ultimo abbia ben altri riferimenti ideologici, Dugin è qualcosa di assolutamente diverso da quel tessitore nell’ombra misticheggiante e analfabeta che era Rasputin.
Il profilo di Dugin è quello di un pensatore e di accademico di ottimo livello, prova ne è quella stessa Teoria del mondo multipolare in cui riesce a confrontarsi con i principali paradigmi delle relazioni internazionali in uso oggi. A dirla tutta, il multipolarismo duginiano è in fondo una riedizone dello Scontro di civiltà di Samuel Huntigton. Se per Huntigton il problema è come preservare l’egemonia della civiltà occidentale, per Dugin è come rovesciarlo. Un modo di procedere abbastanza tipico del pensatore russo, il quale riprende concetti dal pensiero contemporaneo e post-moderno per creare un edificio teorico originale che vada però in una direzione diversa.
Come per Huntigton, gli attori della politica internazionale non sono più gli stati nazioni, ma le civiltà. Queste sono grossomodo: civiltà occidentale, civiltà ortodossa (euroasiatica), civiltà islamica, civiltà cinese (confuciana), civiltà indù, e civiltà giapponese. In più le civiltà latino-americana, civiltà buddista, e civiltà africana, sarebbero civiltà ancora potenziali. Anticipazioni di tutto ciò si possono trovare già in Oswald Spengler con la sua morfologia delle civiltà e in Carl Schmitt con la dottrina dei grandi spazi.
Come la pace di Westfalia (1648) ha posto fino alle guerre di religione crea uno ius publicum europeum che riconoscesse la sovranità degli stati nazionali, così il crollo del mondo bipolare, avvenuto con la caduta dell’Urss e la fine della guerra fredda, sarebbe il preludio al riconoscimento reciproco della sovranità delle civiltà, le quali dovranno avere un’autonomia assoluta all’interno del proprio spazio di integrazione. Da tutto questo si può facilmente prevedere come i nuovi conflitti si verificheranno alle periferie delle civiltà. Dove i rispettivi spazi di integrazione si sovrappongono e vanno in contrasto. Cosa che peraltro sta avvenendo proprio in Ucraina.
Le cose si complicano quando da questo impianto descrittivo e teorico si passa alla prassi politica. Infatti, Dugin vede in tutto questo una garanzia contro il globalismo. Tuttavia, identifica quest’ultimo con le pretese universalistiche dell’occidente, finendo spesso per confondersi con un terzomondismo d’accatto che invece vorrebbe rifiutare. Anzi, quella sorta di tutti contro l’egemone americano che è per Dugin il multipolarismo acquista delle volte di un imperialismo russo. Imperialismo aggravato appunto dalla cattiva coscienza del terzomondismo.
Ma questo non è nemmeno l’aspetto più deteriore. Né in Huntigton né in Dugin c’è una civiltà europea. Prendendo per buono il multipolarismo di Dugin, l’Europa sarebbe solamente uno spazio di conquista, il teatro dove la civiltà occidentale (America) e quella euroasiatica (Russia) si contendono il dominio sul mondo. Tifare per uno qualsiasi dei due poli significa di fatto rinunciare ad uno spazio politico europeo e, cosa ancora peggiore, all’idea di una civiltà europea. L’Europa sarebbe come l’Italia dopo la calata di Carlo VIII, uno scrigno di tesori preda di potenze straniere. Speriamo quindi che nessuno s’azzardi a dire: o Usa o Russia, purché se magna.
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