Di Elena

Il 15 febbraio 1564 nasce a Pisa uno dei grandi geni italiani: Galileo Galilei. Sebbene il suo nome sia principalmente associato al mondo della scienza, egli è stato un portento anche in campo filosofico. Galilei è il cardine della rivoluzione scientifica insieme al polacco Niccolò Copernico. È proprio grazie a questo genio che la scienza si sgancia dalla metafisica per iniziare ad introdurre il metodo sperimentale (basato sull’esperienza), con lo scopo di avvicinarsi il più possibile ad una forma oggettiva di conoscenza. La realtà fenomenica si spoglia di quella patina trascendentale per essere studiata in maniera più pragmatica.

Lo scopo di Galilei è quello di riuscire a scrivere il libro della natura la cui chiave risiede nel linguaggio matematico. Umanamente non si può intendere o concepire l’universo se non si descrive usando numeri e figure geometriche in grado di garantire all’uomo l’uscita dall’oscuro laberento di ignoranza in cui è rimasto bloccato per secoli. La lingua scelta per esporre il suo rivoluzionario progetto è il volgare. Questo è sicuramente un motivo di astio con la Chiesa. Per lo scienziato pisano infatti, le sue tesi non devono arrivare alle menti degli intellettuali, ormai raggrinzite come le pagine dei libri a loro tante care, ma al popolo che necessita una nuova e moderna forma di istruzione.

Egli è fortemente interessato allo studio della realtà empiricamente osservabile: fonte di una conoscenza certa e questo lo spinge coerentemente a non prendere parte alla disputa sulla finitezza o infinitezza dell’universo che, a parer suo, è un dubbio insolvibile. Questa è sicuramente una delle grandi differenze che percepiamo con il celeberrimo Giordano Bruno che ipotizza un universo illimitato di pianeti di cui fanno parte anche la Terra e il Sole.

Nonostante la preminenza di un ragionamento di tipo matematico, l’impostazione alla base delle ricerche di Galilei rimane fortemente legata alla filosofia. Va ricordato che nel cinquecento la riscoperta della filosofia classica vive nella mente degli accademici e intellettuali, la stessa Chiesa, dopo anni di censure medievali si lega particolarmente ad alcune visioni della cultura greca. Basti pensare al lavoro di recupero operato da San Tommaso ed Alberto Magno per sdoganare lo studio di Aristotele nel mondo latino, che ha portato la Chiesa ad ‘’appropriarsi’’ del celebre filosofo proveniente da Stagira. Il metodo prediletto da Galilei è quello deduttivo che prevede che da una verità generale se ne possano ricavare altre particolari. Quello che Aristotele definiva sillogismo.

Galilei è un ponte ideale tra la visione platonica e quella aristotelica. Se da un lato usa un linguaggio matematico, tanto caro ai neoplatonici perché in grado di parlare in termini astratti (quindi avvicinarsi ad un ipotetico iperuranio), dall’altro questo linguaggio viene sfruttato per parlare della realtà fisica e materiale, il mondo che abitiamo in una concezione tendente all’aristotelismo. Il divino platonico in Galilei, fa vivere le cose aristoteliche: gli oggetti, la materia. Seppur legato alla dottrina cristiana che lo costringe all’abiura, il divino rimane un motore per Galilei seppur non identificabile o studiabile. La parola di Dio infatti, non può essere soggetta a comprensione letteraria, al contrario questa deve essere colta nel suo valore metaforico.

L’insegnamento più prezioso del pisano risiede però nel superamento delle visioni platoniche e aristoteliche. Egli infatti sostiene l’impossibilità di ricorrere alla cultura antica per risolvere dei dubbi contemporanei. L’evoluzione deve prevedere un superamento orientato verso la scoperta di nuove conoscenze. Egli appare anche in forte controtendenza rispetto agli umanisti. A differenza loro, egli non vede nell’uomo il centro dell’universo, il cosmo infatti non si plasma in base alle particolarità umane. Come confermerà Sartre nel Novecento, l’uomo non è che un abitante della Terra, non il padrone. La Natura, che regna anche nella desolazione (basti pensare a come si sia riappropriata di Pripyat dopo l’esplosione della centrale nucleare nel 1986) non tiene conto delle specificità umane. Se la nostra specie è riuscita a sopravvivere nei secoli, è solo per gli oggetti culturali che è riuscita a fabbricarsi come ad esempio i vestiti.

Gli animali, a differenza dell’uomo, posseggono un habitat e quello li limita e li protegge, l’uomo invece vive ovunque.

È quest’ultimo punto che ci deve far riflettere sul nostro sviluppo quotidiano. Dobbiamo tendere ad un costante superamento di noi stessi anche se questo prevede l’abbandono di convinzioni e credenze che hanno caratterizzato la nostra formazione o la nostra crescita. Tramite l’ampliamento dei nostri orizzonti siamo in grado di compiere quel passo che ci porta alla crescita evolutiva, quindi alla sopravvivenza. Il vecchio, seppur utile va contestualizzato e ricordato ma, come ci ricorda Nietzsche, non deve bloccare l’azione del presente. Il consiglio spassionato di una studentessa di filosofia è solo uno: tarate i vostri limiti sempre un po’ più in là di dove credete di poter arrivare, è solo così che si sale e si supera sé stessi.