Di Bianca

Poco più di un mese fa è circolata la voce (falsa) del divieto, da parte dei vertici dell’Unione Europea, della realizzazione dei tatuaggi colorati, a causa di un componente contenuto negli inchiostri potenzialmente tossico per la pelle.

La notizia in realtà non ha avuto il tempo di diffondersi che è stata subito smentita. Non si parlava infatti della messa al bando dei tatuaggi colorati in sé (anche se, considerando i soliti meccanismi d’azione un’uscita simile avrebbe stupito fino a un certo punto), ma della sola sostituzione degli inchiostri colorati con altri di diversa composizione. La sostanza in questione è l’isopropanolo, un materiale chimico presente in numerose tinte cromatiche, che rende l’inchiostro sterile ma potenzialmente cancerogeno; sostanza da bandire dagli inchiostri entro il 4 gennaio 2022.

Un provvedimento firmato Unione Europea mai pubblicato ufficialmente, e di cui i diretti interessati (ossia i tatuatori) sono venuti a conoscenza solo un mese fa, e di cui altri hanno avuto conferma dai venditori e dai negozianti solo verso la fine di dicembre 2021. Un provvedimento che quindi ha lasciato ai tatuatori appena un mese di tempo per potersi rifornire di tutto il materiale professionale, con tutto ciò che ne consegue a livello di appuntamenti cancellati e costi di conversione (basta anche solo pensare alla varietà di colori necessari per la realizzazione dei loro lavori).

Materiale spesso e volentieri disponibile solo in parte o non disponibile del tutto. Solo i tatuaggi in bianco e nero sono “prontamente” tornati realizzabili nei nuovi inchiostri legali, mentre le altre tonalità devono ancora aspettare o presentano una gamma di colori molto limitata, e quindi sono inservibili per tatuaggi colorati che richiedono diverse sfumature cromatiche.

Non solo: il mercato non ha ovviamente perso tempo a cogliere l’occasione dell’improvvisa, elevatissima richiesta di inchiostri, iniziando a commercializzare quelli approvati dall’UE con costi superiori (e non di poco) rispetto a quelli messi fuori legge. C’è anzi chi incolpa i venditori e/o i produttori di essere già da tempo al corrente del cambiamento della norma, ma di non averne informato i loro compratori per poter continuare a vendere i “vecchi” inchiostri, e infine guadagnare ancora di più con il boom della domanda dei nuovi in regola.

Si tratta ovviamente di una possibilità non confermata, un’accusa dovuta alla legittima rabbia dei tatuatori che si sono ritrovati sotto alla nuova direttiva all’improvviso, senza nessun preavviso ufficiale. A prescindere da chi ne è venuto a conoscenza prima, e chi dopo, di certo la norma è passata in sordina per poi diventare la causa scatenante di un vero e proprio caos nel settore. Questi nuovi inchiostri “sicuri”, infatti, prodotti nelle ultime settimane e quindi a disponibilità limitata, sono esauriti praticamente ancor prima di essere messi in vendita, scatenando una vera e propria guerra tra tatuatori per recuperare il materiale e per poter tornare a svolgere la loro professione.

A questi costi di conversione si somma non solo la perdita economica degli inchiostri già acquistati ma inutilizzabili e gettati via, ma anche quella dei numerosi appuntamenti cancellati a causa di questa nuova legge: senza la possibilità di poter fissare altre date certe, i tatuatori sono costretti a ripiegare solo sui tatuaggi in bianco e nero e a una minima parte del guadagno precedente. Sempre se, ovviamente, sono riusciti a ottenere il poco materiale disponibile, con tutte le difficoltà di reperibilità di cui si è detto prima. Non è difficile immaginare le conseguenze economiche in cui sono incorsi migliaia e migliaia di tatuatori, ma anche di chi lavora con il trucco permanente e adopera la stessa tipologia di inchiostri.

L’alternativa sarebbe, logicamente, di non seguire affatto le nuove disposizioni marchiate UE e di continuare ad operare con i soliti inchiostri di prima, per non perdere clienti, denaro e soprattutto il proprio lavoro. Si rischiano però delle conseguenze legali che non si limitano a una semplice sanzione, ma che incorrono nel penale.

Viene però da chiedersi come sia possibile che un cambiamento normativo di tale importanza non abbia avuto il logico riscontro che ci si aspetterebbe. In effetti su Internet non è difficile trovare degli articoli datati anche diversi mesi fa che anticipavano il necessario cambiamenti dei materiali. Sembrerebbe quindi che i tatuatori in fondo abbiano poco di cui lamentarsi e che siano loro stessi i responsabili della loro condizione.

Sicuramente c’è chi si è informato prima di altri sulla nuova normativa, che però come già detto manca di ufficialità. Inoltre la produzione degli inchiostri “alternativi” è stata di fatto avviata nelle ultime settimane, e comunque in entità insufficienti a sostenere l’enorme (e prevedibile) impennata della richiesta. Tralasciando la sola questione medica e salutare dell’impiego della sostanza nei tatuaggi, questa crisi non è che un’ulteriore dimostrazione di quanto i tecnici e i burocrati dell’Unione Europea siano del tutto estranei alla realtà, e incapaci (o disinteressati anche?) nel tutelare il lavoro dei cittadini. Specie, guarda caso, quelle professioni in cui ci si affida alla propria autonomia senza dover rispondere a una gerarchia aziendale.