di Moro
Giusto o sbagliato che fosse, il secondo dopoguerra fu un periodo caratterizzato da una particolare coerenza per la disciplina storiografica, per una volta la politica degli stati prese necessariamente una rotta verso una determinata direzione politico-ideologica. La netta rottura tra un blocco socialista e uno capitalista si rivelò in maniera chiara nei principali teatri della nuova scena mondiale. Intere nazioni furono spezzate, gli imperi iniziavano a cedere in vista delle esigenze di stati nazionali più definiti e la creazione di inedite sfere di influenza favorì la delimitazione di aree politiche racchiuse e prevedibili.
Questo fenomeno divenne evidente quando la guerra tornò a infiammare di nuovo l’Asia Orientale. Nel 1950 infatti scoppiò in Corea il primo dei conflitti della guerra fredda. Il territorio era strategico per il gioco geopolitico dell’estremo oriente e il suo possesso avrebbe significato un netto vantaggio per chiunque ne fosse risultato detentore. Non è un caso se la Corea è stata spesso definita come “il pugnale puntato al cuore del Giappone”. Esattamente come la penisola servì da trampolino per l’espansione nipponica sul continente, così avrebbe potuto fare per l’influenza americana. Al contrario, sarebbe stata la perfetta base per la proiezione del comunismo in Giappone e, conseguentemente, nel pacifico.
Quando le truppe ONU, capeggiate dagli statunitensi, giunsero al confine con la neonata Repubblica Popolare Cinese, Mao Zedong mobilitò centinaia di migliaia di volontari. Intorno ai nordcoreani si volsero quindi una Pechino e una Mosca che pochi mesi prima avevano firmato un trattato di mutua difesa. Tecnologie russe e carne cinese consentirono quindi a Kim Il-sung di respingere il contrattacco sudcoreano, arrivando quasi ad espellere gli americani dalla penisola. Un’ulteriore controffensiva portò di nuovo il conflitto sul 38° parallelo, dove entrò in fase di stallo e si concluse senza importanti modifiche territoriali.
In Corea il blocco socialista fu per la prima e ultima volta unito. Tuttavia, nel 1953 non morì solo la speranza dei coreani di rivedere la nazione unita, ma morì anche Josif Stalin, la cui direzione era risultata egemonica a est di Berlino. Quando nel 1956 Khrushchev diede inizio al processo di destalinizzazione il fronte comunista mostrò i primi segni di frattura. In Polonia e Ungheria l’intervento delle forze armate di Mosca mise fine alle rivolte, questo mentre ad oriente prendeva vita la crisi sino-sovietica.
Alla morte di Stalin, infatti, Mao iniziò a fare emergere la sua ambizione di dare a Pechino un ruolo più centrale nel blocco orientale. Emersero inoltre gravi contraddizioni tra le due dirigenze. L’atteggiamento riconciliatorio di Khrushchev verso l’occidente veniva considerato disfattista, talvolta anche “capitolazionista” quando nel 1962 la crisi dei missili di Cuba si risolse con un passo indietro da parte di Mosca. Nel 1954 e 1958, durante le due crisi dello stretto di Taiwan, l’Unione evitò accuratamente di prendere parte nel confronto sino-americano, mentre durante la guerra tra Cina e India del 1962 Mosca arrivò persino a prendere le parti di Nuova Dheli, vendendole armamenti e rafforzando i rapporti bilaterali.
Alle accuse di “imperialismo sociale” si aggiunse una divergenza delle politiche economiche delle due stelle rosse. Al primo piano quinquennale cinese, simile all’esperienza stalinista, si contrappose infatti il grande balzo in avanti, criticato dalla nuova dirigenza sovietica. Quando nel 1964 a Khrushchev susseguì la dirigenza Breznev, oramai Mosca e Pechino avevano rotto ogni legame. I consiglieri militari ed economici russi furono ritirati, questo mentre furono tagliati gli aiuti al programma nucleare cinese, fatto che comunque non impedì a Pechino di esplodere la sua prima bomba nucleare nel 1964.
Uno dei punti principali con cui Mao tentava di creare una propria sfera di influenza era il terzomondismo, che si concretizzò soprattutto a partire dalla conferenza Asia-Africa di Bandung, in Indonesia, nel 1954. La Repubblica Popolare intendeva ora guidare il movimento delle nazioni non allineate. Il maoismo stesso era una derivazione “eretica” del marxismo-leninismo applicata a contesti di arretratezza industriale, il motore della rivoluzione comunista in Cina furono infatti i contadini e non il proletariato urbano. D’altra parte, in Russia la dottrina Breznev riservava al Cremlino il diritto di intervenire ai danni di qualsiasi governo avesse agito contro gli interessi di Mosca. In questo contesto si può inserire l’invasione della Cecoslovacchia seguita alla Primavera di Praga del 1968. I Cinesi criticarono aspramente l’atteggiamento sovietico.
Nel 1969 le relazioni degenerarono nel conflitto di frontiera sino-sovietico, quando i due eserciti un tempo alleati si confrontarono in scontri dall’eccezionale violenza, senza che una delle parti giungesse a una vittoria. I terreni di scontro furono gli stessi che videro nei secoli precedenti l’Impero Russo e la dinastia Qing scontrarsi per il controllo della Manciuria e dell’Asia centrale. Ancora Stalin tentava di espandersi in questi territori al fine di creare degli stati cuscinetto, un esempio fu la Repubblica del Turkestan orientale, in quel Xinjiang che ancora oggi vede tentativi di intrusione statunitensi e di sovversione di stampo islamista.
Nel 1971, in risposta alle tensioni con l’Unione Sovietica, la Cina aprì agli Stati Uniti. In quello stesso anno il seggio riservato alla Cina all’ONU fu trasferito dal governo di Taibei (Taiwan) a Pechino. La Repubblica Popolare aveva visto negli anni una crescente partecipazione internazionale. Così, fu avviato il processo di normalizzazione delle relazioni Cina-mondo, finché nel 1979 anche Washington riconobbe quello stato che appena 30 prima aveva tentato di non far nascere. Era ancora vivo il ricordo delle navi americane intente a trasportare le truppe di Jiang Jieshi (Cheng Kai-shek) vicino alle basi comuniste della Cina settentrionale, così negli anni della rivoluzione culturale si pensa che Lin Biao abbia tentato di sostituire Mao, morendo in circostanze sospette nel 1971.
Mao Zedong morì nel 1976, lasciando una Cina con una forte base industriale e un governo stabile, in una società che tuttavia ancora non si era ripresa dal caos della rivoluzione culturale. La classe dominante cinese aveva intanto slittato dal maoismo mettendo al vertice Deng Xiaoping, che d’altra parte prometteva un periodo di liberalizzazioni economiche al fine di “importare la tecnologia straniera”. Deng fu il principale fautore della potenza economica della Cina moderna. Intanto, lo scisma del blocco socialista era oramai completato. Da quasi due decenni, la guerra fredda si era trasformata definitivamente in un conflitto a tre.
Non passò molto tempo prima che i primi intrighi internazionali investirono la Cina socialista. Nel 1954 con la conferenza di Ginevra si era decretata l’indipendenza dell’Indocina francese. Dal 1955 al 1975 si era consumata la guerra del Vietnam, che aveva visto Hanoi unificare il nord e il sud, cacciando gli americani. I cinesi hanno prestato un importante supporto logistico ai Vietcong, permettendo tra l’altro ad armi e esperti russi di arrivare in Indocina. Tuttavia, presto emergeranno delle contraddizioni tra vietnamiti e cinesi.
Nel 1975 si era infatti conclusa in Cambogia la guerra civile, con la vittoria dei Khmer rossi. Presto tra la nuova Kampuchea democratica e il Vietnam scoppierà una guerra, con il tentativo di Hanoi di rovesciare un governo che percepiva come pericoloso, considerando anche che il genocidio cambogiano colpiva nel frattempo pure le minoranze vietnamite. Nel 1979 Pechino, nel tentativo di fermare le operazioni di Hanoi in Cambogia, lanciò un’invasione del Vietnam che si concluse con una sonora sconfitta. Fu esposta la debolezza militare e diplomatica della Cina. L’Unione Sovietica rafforzò invece la propria influenza nell’area, potendo contare ora non solo sul Vietnam, ma anche sul nuovo governo cambogiano.
Negli anni ’80 la Cina supportò l’insurrezione dell’Afghanistan con addestramento, aiuti finanziari e armamenti. Nel 1986, Mikhail Gorbachev tentò un riavvicinamento tra le due repubbliche socialiste, movimento che si interruppe nel 1989 con la caduta del muro di Berlino. Le proteste di piazza Tiananmen nello stesso anno cercarono un’esposizione internazionale facendo scoppiare le rivolte in occasione della visita del leader russo. Nel 1991 l’Unione Sovietica non esisteva già più, e la Cina di Jiang Zemin si ritrovò ad essere il paese socialista più forte del mondo, questo sebbene a partire dal conflitto sino-vietnamita non tentò più di esercitare una propria sfera di influenza, quanto piuttosto di portare a compimento il proprio sviluppo.
Inizialmente a partire dagli anni ’90 e 2000 l’influenza cinese non vide più metodi tradizionali di proiezione del potere, bensì si espanse economicamente raggiungendo in poco tempo un potere globale. Nel 2001 la Cina è entrata nell’Organizzazione Internazionale del Commercio (WTO) e nel 2008 alle olimpiadi di Pechino si è affermata definitivamente quale potenza di primo piano superando la crisi dei subprime. Da allora Pechino agisce per mezzo della cooperazione internazionale. L’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e il Partenariato Economico Globale Regionale (RCEP) attivo dal 2022, con l’iniziativa Una Strada Una Cintura (la nuova via della seta) costituiscono alcuni dei successi diplomatici della Cina post guerra fredda.
Il mondo di oggi vede la decadenza del sistema unipolare americano. Con l’emergere di attori internazionali di primo piano, la Cina è diventata il principale nemico di una Washington che tenta di rilanciarsi adottando tecniche da guerra fredda. Nel frattempo, Pechino ha ultimato i suoi progetti di modernizzazione, con Hu Jintao è stata avviata ad esempio una massiccia campagna di militarizzazione. Con Xi Jinping la Cina sta ricominciando a guardare attivamente al suo esterno, definendo strategie per implementare una potenza mai vista negli ultimi 300 anni.
A ’70 dall’inizio della guerra fredda il mondo sembrerebbe tornare a una situazione di confronto tra potenze. Il mondo è tuttavia mutato e la globalizzazione ha generato uno scenario internazionale dove la divisione del mondo in blocchi non è più fattibile. Vediamo come già a partire dal 1953 il sistema in blocchi sia caduto in preda alle proprie contraddizioni. La Cina ha posto grazie a queste conflittualità i presupposti per la sua rinnovata grandezza. Oggi Pechino non è più “la terza potenza”, ma il principale degli avversari degli Stati Uniti, ovvero quella potenza egemonica che, caduta in contraddizione, ha finalmente generato i presupposti per il suo superamento.
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