Di Bianca
Il periodo delle festività sta arrivando, così come sta arrivando l’inverno, e così come sta arrivando la famigerata quarta ondata: la nuova fonte di preoccupazione che, secondo i media, terrà impegnati gli italiani durante questo periodo conclusivo del 2021. Ed è proprio in vista del Natale che la ritrita e allarmista retorica sulla pandemia sta toccando livelli apocalittici, fra previsioni di 30.000 e più contagi e minacce di zona gialla e coprifuoco. In sostanza, si parla ancora di mutilare il Natale “per salvare il Natale”.
Ma sono i soliti interventi degli “esperti” sulla socialità in questo periodo di feste a regalarci vere e proprie perle. Così come l’anno scorso vanno ovviamente limitati, se non addirittura vietati, baci e abbracci o effusioni varie a meno di un metro di distanza, additati come un vero e proprio pericolo per i contagi. A questo segue poi la raccomandazione assoluta di evitare gli appestati per eccellenza, i non vaccinati, ormai diventati il capro espiatorio più detestato fra i diversi che ci sono stati in questi due anni di governo.
Quello che minaccia il Natale però è ben altro che un virus e una minoranza non vaccinata di italiani. In primis perché la festività, come avviene ormai con una certa banalità ogni anno, è presa di mira dai battaglieri del politically correct, vuoi a livello religioso in quanto offesa alle diverse comunità di credenti presenti sul nostro territorio nazionale; vuoi per la figura dominante, patriarcale e sessista di Babbo Natale; vuoi per la provenienza geografica dello stesso, il quale ne sottolinea l’innegabile razzismo e privilegio bianco… di fatto le sfumature discriminatorie del Natale includono tutte le categorie del vittimismo.
A riprova di questo, risale a poche settimane fa il tentativo da parte di Bruxelles di imporre delle linee guida per una “comunicazione inclusiva” durante questo mese, che avrebbe vietato il riferimento diretto tanto al Natale quanto ai nomi cristiani come Maria e Giuseppe, e in generale ogni riferimento religioso (cristiano, ovviamente). Il documento, Union of Equality, sorprendentemente è stato rifiutato e ampiamente criticato sia da eurodeputati, politici e soprattutto dai cittadini, tanto che la Commissione è stata costretta a tornare sui suoi passi e a ritirare la proposta. Una proposta che di festoso in realtà aveva ben poco: si è trattato solo di un maldestro e malcelato tentativo di introdurre un linguaggio inclusivo a favore della neutralità di genere, mutilando termini come signore, signora, signorine e via dicendo. Helena Dalli, la commissaria europea alla Parità, ammette infatti che il lavoro non era “maturo” e giustifica l’imbarazzante ritirata con un “lavorerò ulteriormente su questo documento”.
Il Natale viene però immediatamente assolto quando si fa riferimento alla cultura dell’accoglienza, dell’inclusione, della diversità e della tolleranza, paragonando la famiglia cristiana della narrazione biblica ai migranti che continuano ad arrivare sulle nostre coste, a sfregio dell’ipocondria generale sugli spostamenti regionali che pare ormai concretizzarsi. E viene assolto, magari, dagli stessi cittadini civili che denunciavano la ricorrenza rifacendosi alla lista riportata sopra.
Ma il Natale, o meglio dire il significato più spirituale e profondo di questa festività, è in decadenza già da tempo. Si è ridotto non solo a una colpa occidentale da espiare, ma anche a un’occasione economica, a un affare per il mercato internazionale per aumentare le vendite, relegato a una semplice opportunità di guadagno. Per i consumatori acquistare ancora e ancora non diventa altro che una necessità (tanto che si parla addirittura di stress da compere natalizie), una condizione di cui “soffre” la maggior parte dei compratori ridotti a uno stato di sopravvivenza nella ressa della massa nei negozi e nelle vie.
Uno stato che si commenta da sé, specie se messo a confronto con le tradizioni ancestrali che i nostri antenati praticavano in questo periodo per l’arrivo dell’inverno. Non sembra esserci rimasto nulla oggi della concezione originaria di purificazione e rinascita legata a questo periodo, in particolare riguardo al solstizio d’inverno, il quale aveva un’importanza cruciale nei culti dei nostri avi che in questa occasione celebravano la vittoria della Luce sull’oscurità (il Solstizio invernale è infatti il momento dell’anno in cui le giornate tornano ad allungarsi a dispetto della notte) e non a caso collegavano questo momento a divinità come Saturno e Mithra.
Sottrarsi alla frenesia degli acquisti, tra sconti e doveri morali di comprare X a Tizio, sarebbe difficile se non inutile. Non sono tanto gli acquisti o le restrizioni in sé ad aver allontanato l’uomo dalla forza rigeneratrice del solstizio. Ma se nell’epoca moderna il sacrificio è stato sostituito con la perdita, è per questo che bisogna lottare; indignarsi per non poter scrivere “Buon Natale” perché qualche banchiere europeista ce lo vuole impedire non è più abbastanza. A prescindere dal significato personale che ciascuno attribuisce a questa ricorrenza, che sia cristiano, pagano o privo di spiritualità.
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