di Cippa

Nemmeno un anno è passato da quando uno dei miei più cari è vecchi amici d’infanzia ha deciso di farla finita con una corda al collo nella sua cantina, ad appena 18 anni. Non ci si crede, perdere così una persona simile, è difficile da realizzare e poi accettare. Per mesi io e gli altri amici ci siamo interrogati senza tregua per capire il motivo del suo gesto. Non riuscivamo a capire come fosse possibile, il ragazzo che la mattina stessa era con noi a correre in bicicletta per le stradine tra i campi, la sera poi avesse potuto decidere di chiuderla per sempre in quel modo.

Giornali e voci di paese hanno fatto girare notizie su notizie, cose di tutti i generi. Per me le loro spiegazioni non erano abbastanza, esattamente come gli altri, che con lui hanno passato le giornate a partire dall’asilo tra giochi fino all’adolescenza e le bevute, sapevamo che non erano quelli i motivi. Riflettendo ho infine capito che il motivo per cui lui ci ha lasciati sono stati questi ultimi due anni d’inferno. Due anni di privazioni e di tristezze per i ragazzi, due anni di reclusione forzata.

Sicuramente non è stata l’unica causa, sarebbe riduttivo se non offensivo dire ciò nel ricordo di una persona come lui. Un insieme di disagi che si era tenuto per anni è naturalmente ciò che ha gettato le basi per l’azione. Ma una catasta di legna e paglia, per quanto sia grande, non diventa da sola un incendio perché necessita di una scintilla, così è stato per lui. Ciò che ha acceso questa montagna di tragedia è stata la condizione di isolamento.

Ha deciso di compiere l’estremo atto nel rifugio che si era costruito per affrontare i lock down. Esattamente, aveva costruito un rifugio, l’intento era creare un posto sicuro per sé stesso e per accogliere i pochi amici fidati, ma in realtà ha finito solo con l’essere il suo mausoleo.

Mi chiedo ora, quanti ragazzi non abbiano pensato di appendere una corda al soffitto della loro stanza, in cui sono stati reclusi senza spiegazioni logiche. Alla deriva per colpa di un sistema marcio e sbagliato, governato dalla più profonda merda di questo mondo.

In questo momento nelle scuole sembra che non si parli più dei disagi causati dalla pandemia e la sua gestione, e già se ne parlava poco prima. I dati però sono inquietanti: suicidio e depressione nei ragazzi sono esponenzialmente cresciuti. In aggiunta gli organi che si occupano dell’istruzione sembrano non fare altro che rimestare il coltello nella piaga creando solo ulteriori dubbi.

L’alternanza scuola lavoro, i balordi progetti di PCTO sono forse saranno nuovamente richiesti all’ Esame, il non sapere proprio come sarà l’esame a chiusura del ciclo di studi e il non sapere nemmeno quanto ancora avremo la possibilità di stare assieme ai nostri amici. Decine e decine di ore che gli studenti di quinta negli anni passati non sono stati in grado di fare, forse ora saranno necessarie per l’ammissione alla maturità e il peggio è il “forse”. Ora è già tardi, sarà sempre più tardi, sempre peggio e continuano a non fornirci risposte.

Una gioventù già vecchia, una gioventù resa fragile, una gioventù senza spirito critico. Questo rischia di diventare la nostra generazione con quello che succede. Il motivo credo sia palese: una gioventù così sarà facile da controllare. Dobbiamo lottare, dobbiamo infuriarci perché contro questo fatalismo si può solo insorgere, altrimenti ci si finisce soffocati.

Ho deciso, dopo molti mesi di riflessione, di portare questo tema in questo articolo, per donare al mio amico una memoria e per non rendere vana la sua azione. Che la sua storia sia da monito, per lottare contro un mondo marcio che soffoca la gioventù. Che non rimanga una voce di paese che finisce nel dimenticatoio, ma che divampi nel fuoco della rappresaglia. Egli continuerà a vivere in noi, suoi amici che lo hanno conosciuto per nome e voglio che continui a vivere in chi leggerà questo articolo e ne parlerà ad altri.

Per lui e per tutti i ragazzi che in questi anni si sono tolti la vita schiacciati dal peso di un mondo che li costringe ad annullarsi.