Di Bianca
Rivoluzione: una parola che sta scomparendo e che troppo spesso è usata a sproposito. Quanti oggi parlano di rivoluzione contro un sistema dominante colpevole di una qualche mancanza nei confronti di una certa categoria? Tanti, o meglio dire, troppi. Noi sappiamo per certo che, per conto nostro, si può (in realtà si deve) parlare ancora di rivoluzione, ma la questione riguarda in maniera particolare chi si riempie la bocca di questa parola, abusandone e costituendo un’offesa a chi veramente ha combattuto, pagando anche con la vita, per un’idea.
Il concetto di rivoluzione, di fatto, si sta riducendo a un termine ripetuto da chi si crede più alternativo degli altri, dove “rivoluzione” è semplicemente una parola un po’ più forte di “cambiamento” che viene utilizzata per indicare ogni atto di ribellione che si definisce essere contro il sistema. Nell’attualità sembra essersi ormai snaturato e sembra aver perso quello slancio di rabbia e identità che caratterizzava la rivoluzione come motore rinnovatore del mondo. Quindi quale momento migliore di questo per fondarne nuovamente il significato?
Non è una gara a quale schieramento ideologico sia più o meno rivoluzionario. La risposta sta semplicemente nel rapporto di queste ideologie con l’attualità, come agiscono e come si sviluppano in rapporto a essa e al sistema dominante. È questa differenza che sancisce il limite fra la rivoluzione vera e propria e un mero anticonformismo individualista fine a sé stesso.
L’anticonformismo denigra il suo tempo etichettandolo come “fobico” e quindi lo rifiuta, se ne allontana, finendo inevitabilmente per isolarsi del tutto dal presente. Parla di attualità fino ad esasperarla (pensiamo alle tre famose paroline “ancora nel 2021…”), ma non cerca di comprenderla o non vuole farlo, vivendo nella speranzosa attesa di un futuro più inclusivo e radioso.
Al contrario la rivoluzione è protagonista assoluta del suo tempo: non ne prende le distanze, ma vuole ribaltarne gli attributi e far prevalere i propri. Non agisce in nome del progresso di un qualche “domani” ma vuole colpire subito, adesso, per vincere nella realtà effettiva. È una forza rinnovatrice capace di sostituire il pensiero dominante con una cultura e un’identità alternative, figlie del presente. È consapevole della propria volontà di potenza, perché pur vivendo nell’attualità riesce a vedere oltre a essa.
L’anticonformismo nasce invece da un atto di repulsione che è passivo e sterile, incolpando la realtà attuale della sua presunta inferiorità, assumendo spesso e volentieri degli atteggiamenti vittimistici dove più si è discriminati e “deboli”, più si è legittimati a ribellarsi contro il sistema. Per questo finisce inevitabilmente per dipendere dallo stesso sistema contro cui tanto si accanisce. Non potrà mai essere un’alternativa alla cultura dominante, ma sviluppa una sub-cultura che è un’appendice del pensiero unico.
Quindi, in parole povere, il tanto sovversivo anticonformismo non può esistere senza il pensiero dominante che propone di abbattere. Il solo esempio dei social è sufficiente per capire quanto la decantata ribellione di certi individui sia fine a sé stessa: la massima realizzazione della giustizia sociale diventa una bandierina colorata in più nella tastiera o la possibilità di cancellare un profilo per “incitamento all’odio” per il solo uso di una parola in un commento sotto a un post.
L’anticonformismo non si sottrae agli strumenti del sistema che critica ma li conforma alla sua fragile sensibilità, elemosinando il riconoscimento esterno del suo essere una minoranza. Vive di un’idea destinata a essere inevitabilmente sostituita dall’idea successiva più conforme alle nuove tendenze.
La rivoluzione, diversamente, si rifà a un pensare e non a un pensiero, a un metodo di azione che fa riferimento alla sua identità e non dipende da altri. Esiste appunto perché è nata contro e nonostante il sistema, ed è capace di affermarsi anche senza gli strumenti di quest’ultimo (com’è il rapporto fra la militanza politica e i social: questi ultimi sono un mezzo utile alla diffusione del nostro agire, senza che quest’ultimo dipenda da essi, che quindi non sono fondamentali per la politica da strada).
A fronte di tutto ciò, si potrebbe dire che le idee anticonformiste non solo sono destinate a morire, ma non sono mai state vive e non possono diventarlo; mentre la rivoluzione pur vivendo a pieno nella modernità rimane senza tempo e in continuo divenire. Ed ecco perché il primo, nonostante varie promesse di sollevamenti popolari, querele e minacce di avversari appesi qua e là, non potrà mai vincerla.
Commenti recenti