Di Jen

Suicidio, significa etimologicamente uccisione di sé stessi. Accezione schietta e cinica di una parola che nasconde un senso decisamente più ampio, una sensazione che si annida nel pensiero di chi compie l’atto estremo, mosso da una profonda inquietudine e inettitudine alla vita.

Non è di certo una preoccupazione nuova visto che risulta essere anche un elemento significativo della Divina Commedia verso cui il Sommo Poeta si rivolge con un duplice atteggiamento: da una parte, il suicidio viene condannato teologicamente come rifiuto della vita donata da Dio, dunque chi copie l’atto viene confinato nel vortice infernale. D’altra parte, come paradosso, troviamo la figura di Catone l’Uticense che, riesce a valicare il mondo dei morti verso quello dei giusti proprio perché suicida. «Libertà va cercando ch’è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta» scrive Dante in merito a Catone, rendendolo, secondo la visione di Sermonti, il punto d’intersezione tra l’etica stoica e l’imitazione di Cristo.

Al di là della digressione letteraria però, che deve essere considerata come un semplice cappello eufemistico, ci si deve concentrare su quanto sia realmente preoccupante oggi, il rapporto tra i giovani e il suicidio.

Un recente report dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha identificato il suicidio come la seconda causa di morte tra gli under 30 a livello globale; in un’analisi compiuta in Italia, l’Istat ha stimato circa 200 casi all’anno di suicidio tra ragazzi sotto i 24 anni che corrispondono al 5% del totale.

Un fenomeno che risulta essere senza ombra di dubbio in crescita, come conferma l’ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma, che, nell’intervallo dei 7 anni intercorsi tra il 2011 e il 2018, ha registrato un aumento delle consulenze neuropsichiatriche oltre che un elevato numero di richieste di pronto soccorso per tentati suicidi.

Un’immagine adeguata a descrivere il fenomeno è quella dell’iceberg: La punta di questo, corrisponde all’atto estremo o i suoi tentativi, al di sotto di esso c’è un livello impercettibile che corrisponde ai disturbi psicologici, la depressione, la pressione di agenti esterni e ad altri innumerevoli fattori che interagiscono tra di loro fin quando, in alcuni casi, non fanno scoppiare la scintilla.

Ma a cosa è dovuto questo improvviso aumento negli ultimi anni? Che cos’è cambiato?

Nonostante la tv di oggi ci presenti e offra innumerevoli film e serie tv dove i protagonisti, spesso vittime di bullismo, vivono un profondo momento di inquietudine che può talvolta spingerli verso atti estremi e verso il suicidio, è bene chiarire che quest’ultimo non sia catalizzato solo da elementi esogeni. Il più delle volte chi rifiuta sé stesso arriva a farlo per elementi interni a sé. Il contesto fa da contorno e agisce su quello che è il modo di percepire sé stessi in relazione alla società e all’ambiente in cui vive.

È risaputo che la pandemia da Covid-19 sia stata determinante a far cedere una situazione già precaria in principio: isolamento, paura del contagio, distanziamento sociale e crisi economica, non possono che stringere ancora di più il cappio intorno al collo di questa gioventù.

L’unico colpevole di questa tragica condizione si riconferma essere lo Stato assente, preoccupato invece verso questioni dall’importanza opinabile, non riuscendo a percepire la pericolosità della condizione che ci si trova ad affrontare.

Ma, se è vero come detto prima, che il pensiero suicida dipende principalmente da fattori interni, è anche vero che reagendo ci si può rialzare. È inutile farla finita dando la colpa all’attuale sistema statico, essere il cambiamento che vogliamo è il primo passo per attivare questa società arenata. 

L’unica soluzione è alzarsi la mattina e far di tutto per squarciare questo velo di desolazione in cui ci ha avvolto una classe politica incapace.