di Tommaso
A ormai quasi una settimana dalla conclusione del tanto discusso Gran Premio del Belgio di Formula 1 è il momento di fare qualche riflessione su quanto è accaduto, visto che a uscirne con una pessima figura è stato proprio il Motorsport.
È il weekend di Spa-Francorchamps, la mitica pista che si snoda con le sue pericolose curve nelle foreste delle Ardenne e già dal primo giorno di prove libere, il venerdì, si capisce perfettamente che sarà una tre giorni all’insegna del brutto tempo.
Spa, a differenza di quasi tutti gli altri circuiti in calendario, non è stata modificata molto nel corso degli anni, non è stata snaturata, il suo DNA è rimasto invariato e molte delle sue famose curve non perdonano gli errori.
Si arriva al sabato, il giorno della qualifica, il momento in cui i piloti spingono le auto e loro stessi al limite per cercare il giro perfetto, intanto il meteo non è migliorato, anzi, il diluvio si abbatte imperterrito sopra il circuito. Nonostante le richieste di alcuni piloti, Sebastian Vettel su tutti, la direzione gara non sembra voler dare la bandiera rossa, questo finché Lando Norris, il pilota più veloce fino a quel momento non perde il controllo della vettura in cima alla curva del Radillon e va a sbattere violentemente contro le barriere per poi infine rimbalzare in pista. La macchina è distrutta ma fortunatamente in quel momento non sopraggiunge nessun’altra vettura a piena velocità.
Finalmente, quindi, la direzione gara concede la bandiera rossa, intanto si teme il peggio per il pilota britannico finché non sopraggiunge proprio Sebastian Vettel per sincerarsi delle condizioni del collega e inveire nuovamente in radio contro la direzione per il ritardo con cui la sessione è stata interrotta:
«Si ma che ca**o ho detto?! COSA HO APPENA DETTO?!?! BANDIERA ROSSA!!! Sta bene? Si, sta bene, sta bene.»
L’errore di Michael Masi è evidente.
Arriva in ultimo la domenica, sempre pioggia, ma la direzione gara è condizionata dagli eventi del giorno prima e non se la sente di assumersi la responsabilità di eventuali nuovi incidenti. La partenza viene ritardata, di dieci minuti, di venti, di un’ora, la gara deve concludersi entro le 18 ma ancora non si è giunti a una decisione, i piloti sono isolati, incapaci di unirsi per far valere la loro voce quando in gioco c’è la loro incolumità.
Alla fine la decisione che non accontenta nessuno: due giri dietro la safety car, per coprire la distanza minima necessaria ad assegnare metà del punteggio.
Indubbiamente criticabili i piloti, incapaci di parlarsi e di prendere una posizione. Il commento di Hamilton poi, emesso lunedì dopo la corsa è decisamente il massimo del minimo. Criticare il giorno dopo son buoni tutti. Non voleva correre in quelle condizioni pietose? Allora perché non si è battuto in questo senso quantomeno dialogando con i colleghi?
Chi ha assistito alle lunghe ore di attesa avrà sicuramente notato l’assoluta incapacità dei piloti nel consultarsi reciprocamente. Zero. Ciascuno per conto proprio, soli con i propri uomini, incapaci di fare squadre e in balia delle decisioni altrui. Senza considerare minimamente l’opzione di far sentire la propria voce in quanto corporazione.
Questo vale come dimostrazione di una solitudine profonda degli atleti e dell’assoluta dominanza da parte delle scuderie, a differenza di quanto invece è accaduto molte volte in passato, quando l’Associazione Piloti era in grado di far sentire, talvolta anche clamorosamente, la propria voce.
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