Di Sergio
È ora di dircelo chiaro e tondo. Una volta per tutte: Cicerone ha rotto il cazzo!
Senza voler scomodare nessuno ovviamente, chi scrive non ha pretese di portare verità assolute, tantomeno quelle da professorini in erba. Perché ha rotto? Semplice, perché ancora oggi rappresenta tutto ciò che di estraneo si contrappone alla giusta battaglia. Non quella manichea del bene e del male, ma una ben più importante: quella del sangue contro l’oro.
Infatti, spesso e volentieri l’omaggio (anche involontariamente) dello studio classico nei confronti del mostro sacro delle versioni ha portato folte schiere di giovani a considerarlo fuori dal suo tempo: in pratica una comoda tabella su cui affinare la linguistica. Non c’è errore più grande che considerare la storia come “lettera morta”, e i suoi protagonisti come pratici specchi in cui ritrovare soltanto la propria immagine riflessa. Insomma, qualcuno ve lo doveva dire e se già non vi fosse bastato il libro di Massimo Fini del 1996 dedicato al congiurato per antonomasia e alla sua nemesi accusatrice, ecco perché il quadro della congiura di Catilina assume i connotati di un’antica profezia dei nostri tempi. Il piedistallo sul quale la storia ha collocato questi due uomini in perenne discordia merita di essere rispolverato, non per qualche velleità revisionista, ma per il bene e la salute dei nostri tempi. Perché almeno un poco la si faccia finita con i cattivi maestri… i quali si sa, hanno fatto da sempre più danni di qualsiasi guerra.
Normalmente, quando si parla di Lucio Sergio Catilina e la sua impresa lo si fa soltanto per biasimo, nel migliore dei casi, o per denigrazione senza scrupoli nel peggiore. Questo perché il personaggio così com’è giunto a noi ha avuto tradizione, come spesso accade, solo tra i principali nemici del sopracitato. Tutte le fonti che giunte a noi sulla sua vita sono state quelle dei suoi acerrimi rivali, Cicerone in testa, e quindi di natura mai benevola. Sulla sua figura si allunga l’ombra della pratica, tutt’altro che recente, della damnatio memoriae con tutto ciò che di terribile comporta il passare alla storia come il male assoluto.
Come sappiamo, spesso la memoria è un’arma a doppio taglio: se da un lato il ricordare ci rende umani, dall’altro ci rende schiavi di chiunque possa usare i ricordi contro di noi. È per questo che bisogna dire le cose come stanno: Catilina fu probabilmente il primo rivoluzionario della storia così come lo intendiamo noi oggi, un rivoluzionario ante-litteram, che precede di secoli con le sue idee e le sue azioni le rivoluzioni nazionali e sociali del secolo scorso.
La condanna della sua memoria fu una scelta politica estrema e ben precisa, direttamente proporzionale alla minaccia che il congiurato e i suoi uomini avevano portato al cuore della Repubblica. Ma perché? Cosa succede a Roma nel primo secolo avanti Cristo? Chi era in realtà Catilina?
Secondo Sallustio fu un uomo «di indole trista e malvagia», che «fin dall’adolescenza trovò piacere nelle stragi, nelle rapine, nelle discordie civili e fra esse passò i suoi anni giovanili».
Secondo Fini invece, Cicerone ha «gonfiato a dismisura l’importanza della congiura per farsi bello», mentre Sallustio era mosso «dall’esigenza pamphlettistica di scagionare Cesare» dall’accusa di aver partecipato alla congiura di Catilina.
Insomma, Catilina è un cattivo… o così hanno provato a spiegarcelo a scuola, prendendo spunto dalle celeberrime orazioni di Cicerone: Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra! Mi viene da chiedere per quanto Cicerone abuserà della nostra…
Nato a Roma nel 108 a.C. da una famiglia patrizia tra le più antiche dell’Urbe, la gens Sergia, che si voleva affondasse la sua origine nel Sergesto compagno di viaggio dell’eroe fondatore Enea. Si narra fosse “alto, asciutto, atletico, nevrile”, dotato di “una spavalderia, un’audacia, un coraggio spinti fino alla temerarietà” e con una fama di grande seduttore, tanto che venne addirittura accusato di aver violato una Vestale, tale Fabia, cognata di Cicerone, che forse proprio da allora gli giurò inimicizia eterna. Fu combattente fedele accanto a Lucio Silla, e tra i trenta e i quarant’anni percorse tutto il cursus honorum, da questore a edile a pretore, senza approfittare di particolari appoggi politici o finanziari e senza (come spesso era uso durante il cursus) depredare finanziariamente le province governate.
Pochi lo sanno, ma tentò tre volte di venire eletto console, tra il 66 e il 64 a.C. Fu sempre fermato dalla feroce ostilità dell’oligarchia aristocratica, che riuscì sistematicamente ad impedire la sua nomina attraverso escamotages legali e processi truffaldini messi in atto non solo dal nemico di sempre, Cicerone (diversissimo da lui per “temperamento, abitudini, attitudini, carattere, concezione della vita”), ma anche da falsi amici e alleati ingannevoli, quali Crasso e Giulio Cesare.
Nel 66 a.C. la candidatura di Catilina fu stoppata da un’accusa di estorsione per la sua attività di governatore in Africa. L’accusa era stata presentata fuori tempo per cui Catilina fece ricorso e lo vinse. Ma ormai i termini per la candidatura erano scaduti.
Nel 65, sempre inseguito dall’accusa di estorsione, non poté presentarsi.
Nel 64 fu assolto con formula piena e si ricandidò al consolato, ma il Senato, con una legge ad hoc, provvide a togliergli gran parte della base elettorale. Ciò nonostante Catilina finì terzo, primo dei non eletti.
Perché? Per le sue idee, che mal si sposavano con quelle di una Repubblica oligarchica, corrotta, ipocrita ed eticamente ingiusta. Fu un eversore sì, un eversore che si potrebbe facilmente definire di sinistra, ma in maniera più approfondita sicuramente fascista.
Esponente di punta, insieme al più giovane Cesare, del partito popolare, nonostante provenisse da una delle più nobili e antiche famiglie quirite assunse su di sé la causa del popolo romano e di quei settori della società del tempo come liberi, schiavi, donne, giovani, che non avevano voce né rappresentanza politica.
Il suo scontro con Cicerone rappresenta infatti lo scontro fra il rappresentante dei grandi latifondisti italici e la massa dei diseredati, degli emarginati e dei disoccupati che proprio la politica di rapina dei senatori, ormai senza più memoria delle antiche virtù e dediti solo all’accumulo parassitario di denaro, aveva ridotto in completa miseria e di cui Catilina prese le difese.
Infatti una grande bagarre si scatenò attorno alla proposta di legge agraria del tribuno Servilio Rullo (alle cui spalle c’era Catilina) che prevedeva una redistribuzione delle terre, nell’equa misura di dieci iugeri a testa, a favore di coloro che non ne avevano alcuna. Si trattava di terre che appartenevano allo stato e quindi la lex Rullia non ledeva in alcun modo il diritto di proprietà, ma i latifondisti, attivando il prode Cicerone, vi si opposero strenuamente perché molti di loro, nel frattempo, le avevano occupale arbitrariamente e le sfruttavano con il lavoro degli schiavi.
Catilina fu quindi il primo rivoluzionario apparso sulla scena della storia, difensore degli interessi dei ceti deboli contro quelli del grande capitale parassitario che proprio contro di lui scatenarono guerra. Fra le sue proposte più estremiste si ricorda anche l’annullamento di ogni tasso di interesse usuraio e l’annullamento dei debiti contratti con usura, vi ricorda qualcosa? Piccolo suggerimento: With usura
Arriviamo infine al 63 a.C., anno in cui l’aristocrazia, pur di sbarrargli la strada, ricorse a degli autentici brogli a favore del suo avversario, Murena Brusoli di cui lo stesso Cicerone dà involontariamente conto nella sua orazione Pro Murena. Fu solo a questo punto che Catilina, esasperato, decise di ricorrere alle armi.
Abbandonato da Cesare, Catilina morì in battaglia, a Fiesole, nel 62 a.C., circondato dai suoi fedelissimi che insieme a lui e in netta inferiorità numerica troveranno la morte contro ventimila romani inviati dal senato per fermarli.
Tremano i polsi rileggendo quello che fu il suo discorso ai commilitoni, soldati, fratelli di una vita, nella fredda mattina di gennaio in cui i destini di Roma si scontravano. Non un filo di retorica, solo una certezza: la vittoria o la morte. L’unica salvezza per i ribelli era vincere la battaglia e poi… chissà, magari marciare su Roma.
In ogni caso, seppur in netta inferiorità numerica la battaglia durò più del previsto. Le forze governative dovettero ricorrere all’uso straordinario dei pretoriani che, infastiditi da un coinvolgimento non pianificato, si lanciarono nella mischia con inaudita ferocia.
Catilina fu trovato in mezzo ad un mucchio di cadaveri. Respirava ancora. Fu decapitato, ancora cosciente, perché il generale Antonio non ebbe il fegato di farlo curare per portarlo in tribunale. Forse, un piccolo onore che solo un’anima di guerriero sa concedere.
Dopo la battaglia – scriverà proprio Sallustio – si poté constatare quanta audacia e quanta energia regnassero fra i soldati di Catilina: ognuno di essi copriva dopo morto, con il proprio corpo, il posto che vivo, aveva tenuto in battaglia.
Di Catilina, arrivati a questo punto, rimane il ritratto di un uomo coerente che sicuramente stona un po’ con il nostro tempo, in cui ben pochi tra gli occidentali sono ancora pronti a morire per un’idea. Ciò che ci circonda, infatti, è la fine dell’idea di bella morte in favore di un quieto e melenso vivere. Forse è proprio per questo che a quelli di casa nostra piace tanto Cicerone, ai professori, ai giornalisti, ai sapientoni da salotto e tv. Forse troppe cose li rendono vicini all’avvocato di Arpino: la retorica, il parlar rotondo, il trombonismo, la tartuferia, la difesa degli interessi consolidati e del denaro, il trasformismo e, soprattutto, l’intima e profonda vigliaccheria.
Cicerone, dal canto suo, implorerà miseramente per la sua, molto tempo più in là di questa piccola grande storia. Catilina invece si congeda dalla vita come uomo d’onore in primis, ritrovato avvinghiato a molti nemici e ancora legato ad un filo di vita.
Questi due personaggi non potevano che avere un’idea assolutamente contrapposta di cosa fosse e dovesse essere Roma. Uomo di diritto e di mediazione il primo, uomo impulsivo e d’azione il secondo. Sicuramente il primo più adatto a sopravvivere al suo tempo, drammaticamente distaccato dalla realtà il secondo, legato ad una visione etica, guerriera ed eroica di una Roma arcaica scomparsa per sempre.
Eppure, come scriverà l’autorevole Mommsen sarà «il più vile degli uomini di stato romani» a sconfiggere il più coraggioso. Strana materia la storia: è certo che come avrà a scrivere Robert Brasillach ne “I sette colori“, alcuni uomini non sono fatti per la pace, la mediazione, «non ci si immaginerebbe mai Alessandro Magno saggio e anziano legislatore d’oriente», gli spiriti che illuminano muoiono prima dei trent’anni, bruciano il loro tempo perché non sono fatti per portare nel mondo la pace, ma la spada.
Una lezione di storia, una lezione di vita: tra le più alte.
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