Di Leonardo

Pochi giorni fa si è tenuto un incontro tra Putin e Zelenski a Parigi per discutere della crisi del Donbass (erano presenti anche Merkel e Macron).

Questo incontro, dalla durata di ben 8 ore, si è concluso con diverse dichiarazioni che portano un po’ di speranza per la stremata popolazione che si trova nel mezzo degli scontri.

A garanzia che questo accordo abbia delle basi, almeno apparentemente, solide, le due nazioni si sono impegnate a compiere le medesime azioni reciprocamente. Infatti, una delle decisioni prese al summit è il rilascio di tutti i prigionieri di guerra da ambo i lati entro fine di quest’anno (secondo fonti russe su tratterebbe di circa 300 persone). Per ora ne sono state liberati 70, 35 dall’Ucraina e 35 dai ribelli filo-russi.

Il meeting non è comunque stato del tutto rosa e fiori, i due presidenti delle repubbliche dell’est né si sono guardati in faccia né si sono stretti la mano pubblicamente. 

Da segnalare anche come le due parti avverse non abbiano trovato un’accordo su come tenere le elezioni nei territori controllati dai separatisti per l’indipendenza: i russi vogliono che queste vengano tenute sotto il controllo dei separatisti mentre gli ucraini vogliono che siano tenute dopo una rioccupazione della zona.

Va sottolineato infine che a Kiev ci sono state manifestazioni, da parte di gruppi come “corpo nazionale” (partito formato dai veterani del famigerato battaglione Azov), contro la politica di rappacificazione del presidente Zelenski al grido “no alla capitolazione”.

Dall’ormai lontano 2015, anno in cui fu stabilito un cessate il fuoco mai veramente rispettato, entrambe le parti si sono macchiate di violenze contro i prigionieri di guerra e di veri e propri atti di tortura, il tutto davanti ad una generale negligenza da parte del resto del mondo. La Russia e la nato in questo scontro non hanno fatto altro se non aizzare le due parti per scannarsi a vicenda.

Da una parte sono comunque più che comprensibili i sentimenti della popolazione ucraina che si oppone alla pacificazione in quanto in molti sono morti per cercare di riconquistare i territori dei separatisti e una “pace bianca” potrebbe sembrare un’insulto per chi è morto combattendo, vanificandone il sacrificio.

D’altra parte, però, anche i separatisti hanno più di una ragione per non rinunciare alla loro acquistata e combattuta indipendenza, alla stessa maniera degli ucraini hanno combattuto e sono morti per qualcosa in cui credono.

È una situazione che sembra ancora lontana dal risolversi ma forse si stanno muovendo i primi passi verso la conclusione di questo sanguinoso capitolo di storia europea