Di Enrico

“Il cinema racchiude in sé molte altre arti; così come ha caratteristiche proprie della letteratura, ugualmente ha connotati propri del teatro, un aspetto filosofico e attributi improntati alla pittura, alla scultura, alla musica”.

Così Akira Kurosawa definiva la Settima Arte in un’intervista. Ora, non sappiamo se al grande regista nipponico sia piaciuto “Barry Lyndon” (1975) di Stanley Kubrick, ma una cosa è certa: qualora egli dovesse aver visto Barry Lyndon, alla luce di queste parole, lo avrà senz’altro amato. Il film è infatti un concentrato puro di estasi letteraria, visiva e uditiva.

Barry Lyndon è uno dei maggiori esempi in cui un libro, quasi sconosciuto, diviene immortale insieme alla sua trasposizione cinematografica. Il libro di William M. Thackeray “Le memorie di Barry Lyndon” del 1844, che è pure una lettura molto piacevole, prima del capolavoro di Stanley Kubrick era infatti non sconosciuto, ma quasi.

È la storia di un giovane avventuriero irlandese che dalla miseria arriva alla vetta della scala sociale, per poi precipitare nuovamente nella miseria da cui era partito. Nel corso della storia lo vedremo nei molteplici ruoli di: fuggiasco ricercato per aver ucciso (o almeno così si credeva) un uomo in duello, soldato nell’esercito britannico nella Guerra dei Sette Anni, disertore catturato e arruolato a forza nell’esercito prussiano di Federico il Grande, spia per conto dell’esercito prussiano, giocatore d’azzardo nelle corti di mezza Europa, amante e poi sposo di una importante nobildonna e infine nuovamente irlandese squattrinato, come a chiudere un ciclo. Insomma, quella di Barry Lyndon è a tutti gli effetti una storia di vita, amore e guerra, in grado di entusiasmare e al contempo far provare compassione (e a tratti persino disprezzo). C’è da dire però che, per ammissione dello stesso Stanley Kubrick, il film si discosta molto dal romanzo per quanto riguarda la tecnica narrativa dove si passa da un narratore onnisciente in prima persona a un narratore onnisciente in terza persona; Kubrick disse infatti a questo proposito:

“Thackeray usava l’osservatore ‘imperfetto’ – anche se sarebbe più corretto dire l’osservatore ‘disonesto’ – consentendo al pubblico di giudicare da sé la vita di Redmond Barry. Questa tecnica andava bene per il romanzo, ma non per un film, in cui hai dinanzi a te una realtà oggettiva per forza! Il narratore in prima persona avrebbe funzionato se il film fosse stato una commedia: Barry diceva il suo punto di vista, in contrasto con la realtà oggettiva delle immagini, e allora il pubblico avrebbe riso per questa contrapposizione. Ma Barry Lyndon non è una commedia.”

Oltre alla bellezza e all’impatto emotivo della storia narrata in sé, l’altro mastodontico punto di forza è senza dubbio l’immagine (dalle riprese ai costumi, dalla fotografia all’uso della luce). È da tenere a mente innanzitutto che in questo film Kubrick non fece uso di luci prodotte da tecnologie moderne (come riflettori o altro); vengono infatti utilizzate solo la luce naturale e quella prodotta dalle candele nelle scene notturne. Infatti, gli attori in un’intervista raccontarono che Kubrick pretendeva di iniziare a girare all’alba per poter sfruttare ogni momento di luce naturale. Eppure, nonostante la totale assenza di luce artificiale moderna, il film appare estremamente luminoso e a tratti sembra quasi un dipinto. Questo fu possibile solo grazie all’utilizzo di particolari telecamere (progettate originariamente per la NASA) le quali fornivano un’immagine molto più luminosa rispetto alla macchina da presa standard. Insomma, Kubrick sembra quasi che volesse far credere di essere stato nel Settecento per fare delle riprese.

Un aspetto che colpisce molto in questa pellicola è senza dubbio l’attenzione a tratti maniacale di Kubrick per i dettagli. Dalle divise dei soldati e la selezione delle marce militari dell’epoca (come la “British Grenadiers March” dell’esercito inglese e la “Hohenfriedberger Marsch” dell’esercito prussiano) alla coerenza storica degli oggetti di scena, per evitare anacronismi. Anche se, a dirla tutta, un piccolo errore sotto questo aspetto c’è, anche se perfettamente giustificabile poiché dettato da motivi strettamente tecnici: nella prima scena di battaglia (la famosa “battaglia mai menzionata dai libri di storia” come la voce narrante dice) durante la Guerra dei Sette Anni, i soldati sono armati con fucili del 1873, che ovviamente all’epoca dei fatti narrati nella pellicola non esistevano. Ma questo è appunto un errore necessario; se si fossero utilizzati dei moschetti del Settecento, il fumo generato dal fuoco di un’intera linea di fanteria avrebbe coperto completamente la scena.

L’altro elemento centrale di questo film è l’imponente colonna sonora. Già solo i nomi degli autori basterebbero a descriverla: oltre alle già citate marce militari settecentesche (di cui una composta nientemeno che dal Re di Prussia, Federico II “il Grande”) che contribuiscono enormemente a calare lo spettatore nell’atmosfera di guerra del Settecento, la colonna sonora porta grandi firme quali Mozart, Schubert e Handel. Quello che colpisce è l’abilità di Kubrick di abbinare ad ogni momento della narrazione la giusta traccia musicale; i duelli del protagonista hanno come sottofondo la “Sarabanda” di Handel, riscritta e riorchestrata in alcune parti per esprimere pienamente momenti drammatici. Nelle scene che si svolgono durante la Guerra dei Sette Anni risuona la marcia per orchestra, tratta dall’Idomeneo di Mozart, che con la sua eleganza si abbinava perfettamente ai colori delle divise e con i movimenti geometrici e scanditi delle file di fanteria che avanzavano, mentre nel momento in cui Lady Lyndon cede al fascino di Barry, la musica si fa dolcissima e quasi sensuale con il “Trio op. 100” di Schubert: ogni scena ha la sua traccia musicale perfettamente abbinata.

Un ultimo tocco di classe avviene proprio nella scena in cui Lady Lyndon firma la rendita per Barry; sul foglio che Lady Lyndon sta per firmare, Kubrick lascia volutamente intravedere la data, seminascosta dalla mano delicata di Lady Lyndon che regge il foglio: è il 1789, anno dello scoppio della Rivoluzione Francese. Sembra quasi che Kubrick voglia dire: “tutto ciò che ho narrato fino ad ora sta per scomparire: pizzi, velluti, sfarzo, nobiltà corrotta… tutto questo sta per essere spazzato via dall’ondata rivoluzionaria che sta per infiammare l’Europa”.

Insomma, Barry Lyndon è un film a dir poco monumentale in ogni suo aspetto e possiamo quindi dire che rispetta e anzi, incarna pienamente, la citazione di Akira Kurosawa dalla quale siamo partiti.

Barry Lyndon è un film che avvolge completamente lo spettatore ed è in grado di tenerlo avvolto in sé stesso per molto tempo anche dopo la fine della visione. Se qualche lettore vorrà vedere Barry Lyndon, per qualche giorno non potrà smettere di pensare ad esso. Continuerà a sentire le marce militari e il rullo dei tamburi come un eco nelle orecchie e si sentirà avvolto dal fumo degli spari dei moschetti, continuerà a sentire le urla di Lady Lyndon sotto l’effetto della stricnina e le note leggere di Schubert. E quando lo spettatore riuscirà ad uscire dall’estasi, non potrà far altro che lasciarsi andare ad una esclamazione (più o meno volgare in base all’attitudine) di stupore e meraviglia allo stesso tempo.