Di Clara
Lo abbiamo già visto innumerevoli volte: Facebook censura tutti quelli che vuole, in alcuni casi per situazioni da vero “maniaco del controllo”, o forse semplicemente perché l’algoritmo è tarato per essere paranoico quanto il suo proprietario.
Giusto se ce ne fosse bisogno ecco alcuni esempi
«Bel piatto, ma proprio i finocchi dovevi prendere?» si potrebbe provare a immaginare che il ban sia giustificato dal fatto che questo “villipendio” si possa trovare sotto un post del gay pride, magari proprio nel giorno delle manifestazioni a Roma e Milano, creando un’indignazione globale di tutto il popolo di internet. Niente di tutto questo, il gestore di una trattoria voleva solo commentare la ricetta del suo collega, senza alcun insulto o doppio senso. Invece, in quattro e quattr’otto, il commento è stato rimosso: “viola i nostri standard in materia di incitamento all’odio”.
L’algoritmo infatti è diventato così tanto stringente che non sono più solo i simboli facilmente riconoscibili e (fortunatamente) odiati dal mainstream ad essere epurati, ma ormai anche l’arte subisce censure. L’ultima è accaduta al Museo d’Arte di Ravenna, per aver pubblicato un’opera fotografica di Paolo Rovesi, questa volta tacciata come “contenuto pornografico”. Peccato si trattasse solo di un nudo artistico, volto a promuovere il Museo con gli scatti dell’autore.
Sembrerebbe che siamo arrivati al punto in cui l’egemonia di Zuckerberg e del suo impero politically correct abbiano ormai raggiunto i massimi storici, non solo è in grado di decidere chi possa legittimamente fare o meno politica istituzionale ma può ormai decidere chi possa anche solo parlare. Il tutto sempre in nome della libertà ovviamente!
Meno male che c’è qualcuno che, controcorrente, non dice sempre di sì a quell’amicone di Zuckerberg e ricorda a tutti quanti che la vita vera si trova fuori da internet e lontana dai suoi autoincoronati re.
In questo caso specifico, parliamo di Roger Waters, per quei pochissimi che non lo conoscessero, il cofondatore nonché ex cantante e bassista dei Pink Floyd, che ha ricevuto una richiesta dal potente Zuckerberg e cioè usare il celebre brano “Another Brick in the Wall, part II” per una pubblicità su Instagram. La risposta spedita al mittente è facilmente comprensibile anche per i non anglofoni:
«Fuck you, no fukin’ way!», testualmente «Fanculo, non se ne parla assolutamente!».
Il musicista, dopo aver rifiutato la cifra enorme proposta dal gigante blu, ha poi dichiarato durante un evento di WikiLeaks:
«Non farò parte di questa stronzata, Zuckerberg! Uno pensa, come è possibile che questo piccolo coglione, che ha cominciato dicendo ‘Lei è carina, diamole un quattro, lei è brutta diamole uno’, come diavolo è possibile che abbia il potere di fare una qualsiasi cosa? Eppure eccolo lì, uno degli idioti più potenti al mondo».
Tornando poi alla canzone nello specifico ha poi aggiunto, che il proprietario di Facebook:
«non ha compreso per nulla il testo della canzone. È parte di un movimento che sta cercando di assumere il controllo di tutto, e chi ha un po’ di potere, ed io ho potere perlomeno sulle mie canzoni, dovrebbe contrastarli».
In effetti sarebbe stato emblematico considerato che il brano, pubblicato nel 1979, si erge come un inno rivoluzionario. Nel caso specifico, contro un’istruzione estremamente rigida, ma negli anni è stata poi rievocata e utilizzata nelle più disparate occasioni di ribellione contro il potere.
Cedere la propria opera, per un pugno di dollari (o forse un po’ di più), soprattutto svendendola “al nemico” contro cui essa si scaglia, per una qualsiasi banale pubblicità progresso, sarebbe stato uno smacco che Waters non avrebbe mai potuto accettare. Arrivati a certi livelli ci si può sicuramente permettere queste (economicamente) sconvenienti questioni di principio, anche perché non è impensabile che con questo rifiuto il cantante si sia guadagnato una pubblicità che potrebbe essere quasi in grado di risarcirlo del compenso rifiutato.
Magari grazie a gesti come questo, anche se lentamente e solo una percentuale minima della popolazione, potrà comprendere meglio il potere eccessivo che hanno raggiunto questi social, che possono manovrare le elezioni “democratiche”, ma promuovendo e patteggiando per un candidato ed eliminando l’altro.
Bisogna ricordarsi però che il potere e la presenza sui social non sono tutto, noi ormai lo abbiamo imparato molto bene e a quanto pare in questo, Roger Waters è assolutamente con noi!
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