Di Lemmy

Come spesso accade, purtroppo, la risposta è semplice: se la Cina galoppa sulla nuova Via dell’Atomo, con uno sviluppo nucleare che ha dell’incredibile, l’Italia rimane al palo, trincerata dietro una politica dettata da referendum vecchi e condizionati dal sensazionalismo antiscientifico dei media. 

Una vecchia storia

Sebbene le consultazioni avvenute nel ’87 fossero state indice di un crescente senso di diffidenza nei confronti della produzione di energia da fonti nucleari, nel corso del tempo, questa sensazione popolare sembrava essersi ridotta fin quasi a svanire nel 2008, all’epoca del governo Berlusconi IV.

L’allora ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola, infatti, propose di costruire dieci nuovi reattori con l’obiettivo di raggiungere una produzione di energia elettrica da nucleare in Italia pari al 25% del totale. Negli anni successivi, perlomeno nel progetto dell’ex Democristiano, la presenza dell’energia prodotta dal nucleare, associata all’aumento fino al 25% di quella fornita da fonti rinnovabili, avrebbe conseguentemente portato a un ridimensionamento al 50% dell’energia prodotta da carburanti di origine fossile.

Tale progetto, però, venne accantonato in seguito alla tensione mediatica generata dal grave incidente di Fukushima del 2011, che soffiò via ogni possibilità di indipendenza energetica con il referendum del medesimo anno.

La situazione cinese

Analizzando invece la Repubblica Popolare Cinese, per l’appunto, che ha avuto – in opposizione a quella Italiana – una notevolissima lungimiranza in termini di politiche di autonomia energetica a trazione nucleare. Una volta entrati in funzione, gli impianti di produzione cinesi hanno dimostrato alti rendimenti e costi operativi decisamente moderati. Il nucleare, rappresenta da sempre un’importante fonte di produzione energetica, e ora Pechino punta alla leadership tecnologica per espandersi sui mercati e rafforzare i legami con i propri partner commerciali.

Negli ultimi dieci anni, la Cina ha accelerato la corsa alla padronanza delle tecnologie nucleari, che comprendono un ampio spettro di soluzioni ai problemi principali del settore. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia atomica, oggi Pechino è il produttore di energia nucleare con il tasso di espansione e sviluppo più alto, anche in termini di sicurezza. Studi dell’Università di Pechino hanno confermato che l’utilizzo di elementi più facilmente reperibili in natura come il Torio, nella produzione dell’isotopo di uranio 235 (semplificando, il componente base di un nocciolo di un nucleo) decadono in un isotopo di uranio 233 di qualità migliore, molto meno instabile come scoria. Il torio, sarebbe inoltre impiegato nei nuovi reattori a sali fusi, una tecnologia in grado di ostacolare reazioni a catena incontrollate e che potrebbe rivoluzionare il problema della sicurezza.

Ad oggi, la Cina ha 47 centrali nucleari con una capacità di generazione totale di 48,75 milioni di kilowatt, la terza più alta al mondo dopo Stati Uniti e Francia. 

E in Italia?

Ripensando agli anni d’oro, ne avevamo meno di un decimo. Quattro per la precisione: una a Trino, nella zona di Vercelli, una a Caorso in provincia di Piacenza, una a Latina e una nel comune di Sessa Aurunca (Caserta), sul fiume Garigliano. Tutte e quattro al momento sono in fase di decommissioning. Ciò significa, che tutto il combustibile nucleare è stato allontanato dal sito, e sono stati avviati sia il processo di caratterizzazione radiologica con cui si individuano gli elementi radioattivi presenti negli impianti, sia quello di decontaminazione e di demolizione, che vengono rimossi e messi in sicurezza.

Curiosamente, proprio perché siamo stati tra i primi ad abbandonare la strada del nucleare, l’Italia risulta essere pionieristica e all’avanguardia in questa materia. Esempi di imprese che operano in questo settore sono Ansaldo Nucleare e Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari). Ansaldo opera lungo tutta la filiera: dalla costruzione di nuove centrali (all’estero, chiaramente), al decommissioning e gestione di rifiuti nucleari, mentre Sogin, fondata nel 1999, è invece una società pubblica, completamente controllata dal ministero dell’Economia e Finanze, responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi.

È arrivato il momento?

Negli ultimi dieci anni però, le cose sembrerebbero essere cambiate. Buona parte dell’opinione pubblica ha imparato a non informarsi solo ed unicamente dal rettangolo ipnotico chiamato televisore, recuperando talvolta informazioni di prima mano, oppure attraverso il web, e confrontando le fonti per decretare le più attendibili.

Nel frattempo, è anche la scienza stessa ad aver fatto enormi passi in avanti in termini di sicurezza in ambito nucleare. Non sarebbe forse il caso di iniziare a progettare, costruire ed utilizzare centrali nucleari sul nostro territorio, per poi sciogliere quindi i contratti di importazione dell’energia, stretti con i paesi esteri come Francia e Germania?

Come detto non c’è nemmeno più la scusa del “la tecnologia non è ancora pronta”: ci sono tantissime aziende italiane che producono la componentistica dei reattori nucleari che verranno poi assemblati, accesi ed utilizzati all’estero, in paesi come la Cina, il Pakistan oppure le ex repubbliche sovietiche. 

Uno sguardo al futuro 

Non si può guardare all’avvenire della scienza atomica senza gettare prima un rapido sguardo al passato. L’Italia, infatti, è storicamente molto legata agli studi in ambito nucleare, basti pensare alle attività di ricerca pionieristica di Enrico Fermi ed Edoardo Amaldi.

Una tradizione, questa, che continua ancora oggi, con le università italiane che offrono corsi di laurea magistrale in ingegneria nucleare di altissimo livello, come il Politecnico di Milano, Torino, la Sapienza di Roma o all’Università di Pisa. Dagli anni ’60, l’Università italiana ha formato diverse migliaia di ingegneri nucleari (più di 8.000 fino al 2010).

Studenti che, se nel passato potevano trovare occupazione nel settore civile o della ricerca, oggi non hanno uno sbocco naturale nel nostro paese. A oggi, dati specifici sull’occupazione dei neolaureati in ingegneria nucleare non sono – al meglio della nostra conoscenza – disponibili. I dati del corso di ingegneria nucleare del Politecnico di Milano possono però fornirci qualche suggerimento. 

In questo caso, nel 2018 meno di un laconico 10% dei laureati ha trovato occupazione nella propria area di studi all’interno dei confini nazionale. Chi rimane in Italia è spesso costretto a reinventarsi, perlopiù all’interno di società di consulenza tecnologica, enti di ricerca, o società di consulenza aziendale.  Serve quindi una campagna di informazione per rendere pubblica la verità. 

L’energia nucleare risulta essere l’unica reale forma di energia pulita concretamente sfruttabile, da cui il Paese può ripartire mettendo in campo tutte le risorse e le capacità di cui dispone, partendo dai giovani ingegneri appena laureati fino ad assorbire, ad esempio, molta manodopera al momento ferma, in attesa di ammortizzatori sociali privi di logica oltre quella del puro demagogismo populista (a carattere pentastellato).