CAMICIA NERA ABRUZZESE, EROE DELLA GUERRA D’ETIOPIA
Di Saturno
Filippo Freda nacque a Chieti il 27 aprile 1911 dalla madre Maria Incoronata Antolini e dal padre Domenico Freda per poi trasferirsi dopo non molto a Sulmona, nella frazione di Badia ai piedi del Monte Morrone.
Nel ‘32, mentre lavorava come operaio in lavanderia e talvolta come bracciante agricolo, arrivò la chiamata per il servizio militare di leva ed il 16 marzo fu arruolato nel Battaglione Vicenza del 9° Reggimenti Alpini. Svolse il servizio militare per i 18 mesi richiesti e fu congedato a 23 anni il 24 maggio 1934.
Nell’ottobre dello stesso anno si iscrisse al Partito Nazionale Fascista. Sempre nello stesso ottobre, decise di arruolarsi nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), le Camicie Nere della 131° Legione d’assalto Giuseppe Paolini (poi rinominata Monte Morrone).
Il 3 febbraio 1935 fu poi mobilitato con la Divisione 23 Marzo, nella 3° Compagnia, 1° battaglione Camicie Nere d’Eritrea, 1° gruppo Generale Diamanti. Nel giro di due giorni arrivò a Napoli, ove si imbarcò verso l’Eritrea sul piroscafo Argentina. Infine, il 22 febbraio arrivò al porto di Massaua.
Le camicie nere utilizzarono il periodo prebellico per addestrarsi, e quando il 3 ottobre 1935 comincio la guerra d’Etiopia, Filippo ebbe il suo battesimo del fuoco.
Il 26 ottobre scrisse al Comandante del Fascio giovanile di Badia:
“Noi continuiamo il nostro cammino, sempre con maggior spirito di Camicie Nere e volontà imperiale verso la grande meta”.
Mentre l’1 gennaio 1936 scrisse:
“La nostra avanzata prosegue sempre con maggior slancio con nuove conquiste. Malgrado qualche piccola privazione siamo sempre orgogliosi di trovarci in questo oriente africano a compiere uno dei più sacri doveri per la grandezza dell’Italia Fascista”.
Dopo alcuni mesi, la Colonna Diamanti si fermò nei pressi di Urok Amba (detta la Montagna d’Oro), era necessario conquistarne la vetta e per farlo occorrevano volontari tra i volontari. Giulio Reale, tenente degli Alpini, fu posto a capo di un manipolo di 24 uomini, fra cui anche Freda, che fu uno dei primi a rispondere all’appello. L’azione per la conquista della vetta iniziò la mattina del 27 febbraio, a riguardo un articolo de Il Popolo di Roma riportò:
“Il tascapane è pieno di bombe. E Filippo Freda inizia la sua lotta eroica che dovrà protrarsi per molte ore. Con la sinistra è afferrato alla roccia, con la destra lancia infallibile le bombe. I suoi muscoli sono sempre più tesi, il dislivello viene vinto a centimetri. Eccolo un piccolo piano. Freda lo raggiunge: la mitragliatrice è piazzata […] La mitragliatrice di Freda è infallibile – Freda fa miracoli – Freda spara e canta – dicono i compagni dai roccioni. Avanti a lui c’è già un mucchio di cadaveri – Freda vuole altre bombe, altre cartucce –. Freda grida più forte. Viva il Duce, Viva l’Italia”.
La mattina stessa, durante la lotta, Filippo fu colpito e ucciso da una pallottola nemica.
Tra gennaio e marzo del 1936 morirono anche altri suoi camerati conterranei, di cui riportiamo i nomi affinché non vadano persi: Gino Antonucci di Pratola Peligna (AQ) il 21/01/1936, Cosimo Sciarra il 26/02/1936, Bruno Biaselli il 17/03/1936 e Nicola Pantano di Sulmona.
La notizia della sua morte arrivò a casa il 14 marzo. Il 2 aprile 1936 Giulio Reale, capo del manipolo di cui faceva parte Freda, scrisse alla madre del defunto:
“Il suo bel Filippo insistette, con maschia e tenace fermezza, per essere il primo tra 25 volontarissimi per conquistare l’insidiosa Urok Amba […] Io ch’ebbi l’onore di comandarlo, per tale azione prodigiosa l’ho proposto per la medaglia d’oro al valor militare perché durante due ore di accanito combattimento seminava la strage tra le selvagge orde nemiche […] col sorriso dei forti sul volto, calma e sprezzo audace del pericolo, riprendeva a far fuoco sul nemico, finché un proiettile abissino lo colpiva alla testa freddandolo all’istante”.
Freda, il giorno precedente alla missione che gli costerà la vita, probabilmente immaginando l’esito mortale che avrà su di lui la lotta per la conquista della vetta del monte d’oro, scrisse una lettera per la madre che recita:
“Ecco, mamma, tutto è finito, anche per me; mi mancano le forze […] Mamma, muoio con l’animo tranquillo e sereno […] Mamma come sarà grande il tuo dolore per la mia perdita, ma rallegrati cara, non piangere mia diletta, pensa e sii orgogliosa di aver dato alla Patria un figlio, un combattente […] Mamma il tuo nome è scolpito nel cuore nella mente, ma giammai rimpiangerò il tuo distacco giacché tutto ho donato per la Patria e per la grandezza della Patria […] A tutti invio il mio saluto. Viva l’Italia – Viva il Duce. Muoio per la grandezza della Patria e vi auguro Vittoria”.
Dopo la morte gli venne assegnata la medaglia d’oro al valor militare. Sulla motivazione dell’assegnazione di tale onorificenza, tra l’altro tutt’ora reperibile sul sito del Quirinale, leggiamo:
“Volontario in A.O. chiedeva di essere compreso in un manipolo dì CC.NN. per la conquista della Uork Amba. Riuscito ad ottenere l’ambito onore, indirizzava alla madre una commovente sublime lettera, da cui rifulge il suo grande spirito ed il sereno presagio del suo olocausto alla Patria. Per oltre due ore di accanito combattimento seminava la strage tra innumeri orde nemiche. Si difendeva con preciso lancio di bombe a mano da incalzanti nuclei avversari, che tentavano di catturargli la mitragliatrice. Ferito ad una mano, arso dalla sete, si fasciava alla meglio e con calma e disprezzo del pericolo, riprendeva a far fuoco sull’avversario, finché un proiettile non lo colpiva mortalmente alla testa. – Uork Amba, 27 febbraio 1936”.
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