Di Jen

Come ogni anno nella giornata di oggi, 8 marzo, abbiamo visto sfilare mazzetti di mimose ed ipocrisie accompagnati da lagne saccenti su come la donna sia sottovalutata.

Lotte sociali, conquiste politiche, violenze e parità di sesso sono gli argomenti preferiti per i piagnistei che ci vengono propinati ovunque soprattutto da chi, credendo compiuta la propria emancipazione, esercita la professione di influencer con un livello certificato di cultura pari a zero.

Ma forse, dopo anni in cui l’ossessione femminista sta prendendo spaventosamente piede bisognerebbe chiedersi perché, al giorno d’oggi, si respira questa “Malattia del genere” in ogni cosa che si fa.

C’erano una volta le femministe (…sì, perché i personaggi a cui siamo abituati adesso sono forse la parodia della parodia), attiviste con una voglia insaziabile di vendetta, che è risaputo esser donna, contro una loro paranoia mentale: il patriarcato. Come ogni eterno insoddisfatto, le attiviste, hanno dovuto cercare un capro espiatorio contro il noioso borghesismo della loro vita senza fare i conti con la realtà: non esistono disparità di genere, e ce lo insegnano le grandi donne che hanno animato la storia come Evita Peron, tanto per fare un esempio tra tanti. Tutta questa polemica sterile ed inutile ha avuto due grandi alleati: una classe politica degenerata e l’eccessiva democratizzazione del pensiero che hanno provveduto a diffondere battaglie a dir poco ridicole. Forse tra le tante, quella che è più opportuno citare, è quella relativa all’aborto.

Le femministe, appartenenti alle file del noto movimento di “Non una di meno” e non, hanno come punto fermo del loro programma propagandistico una modifica della legge 194 relativa all’aborto, quello che chiedono è un’interruzione più libera abrogando in toto il loro senso di maternità e tirando in ballo accuse che si scagliano contro i famosi obiettori di coscienza ovvero il personale sanitario, medici in primis, che si rifiuta di aiutare nella pratica abortiva. Le motivazioni a sostegno delle loro tesi sono più fasulle della tesi stessa: si crede, infatti, che sia il fattore maternità a limitare la donna in diversi ambiti da quello lavorativo a quello mondano. Difficile spiegare a chi non ragiona che in realtà non è così. La maternità non è una limitazione bensì una realizzazione delle potenzialità di una donna, un surplus a tutto quello che le persone possano ambire.

Una smania continua di autoaffermazione, come certificato dall’esempio riportato sopra, nei confronti di una società che le donne le ha pienamente accettate, voci di bastian contrarie che si scagliano contro “ingiustizie” inesistenti tralasciando quelle che sono realmente le ingiustizie sociali. Tutto ciò pullula nell’aria per tutto l’anno per esserci sputato addosso l’8 marzo e in altre rare occasioni.

Tutto questo avrebbe fatto orrore a quelle che si potrebbe definire Donne con la d maiuscola: eleganza e portamento, genio e riservatezza erano le caratteristiche che hanno permesso l’affermazione di questi personaggi nella società. Come nei miti romani Ersilia e Clelia hanno un ruolo determinante nella diplomazia romana donne reali come Ondina Valla o Margherita Sarfatti hanno saputo dimostrare il loro valore al mondo senza essere trattate come inferiori. Sì perché è proprio l’insieme di queste forzature che vengono ostentate dalle estorsioni alla lingua italiana e altro che danno la parvenza che la donna sia in una condizione di inferiorità quando in realtà non è altro che un loro bug mentale.