Di Elena

Definire “qualcosa” significa cercare di intrappolarne l’essenza in poche parole. Per i meno avvezzi ai termini filosofici per essenza si intende il nucleo, il “cuore” dell’oggetto studiato o contemplato. Per dare una definizione quindi non basta fornire esempi che pur avvicinandosi all’essenza non riescono a sfiorarne il nocciolo.

Ora, se addirittura per Socrate rappresentava un’impresa non indifferente definire un oggetto empiricamente osservabile o una qualità concernente il comportamento umano, come possiamo noi solamente tentare di spiegare cosa è bello? Di per sé ciò che è bello nella nostra mente, non lo è necessariamente per gli altri e non rappresenta una verità condivisibile in ampia scala. Rimane quindi molto labile o vago.

Misurarsi con questo tema comporta un grande sforzo meditativo e mette alla prova la nostra soggettività che può guidarci o frapporsi tra noi e il nostro obbiettivo. La cosa più adatta per schiarirci le idee è quella di ripercorrere le orme dei nostri predecessori nella speranza di costruirci degli orizzonti o capisaldi che orientino il nostro ragionamento.

Per Platone cercare di definire ‘’il bello’’ corrisponde ad universalizzare il concetto stesso. Cosa significa quindi universalizzare? Significa astrarre quelle caratteristiche che rendono qualsiasi oggetto, essere vivente eccetera, ‘’bello’’. Un ulteriore chiarimento è necessario per chiunque si interroghi sul significato di soggettività in relazione alla bellezza. Per i greci (e quindi anche per Platone) l’armonia simmetrica e l’equilibrio delle proporzioni rendevano una statua o un corpo socialmente ascrivibile alla categoria di ‘’bello’’ o piacevole alla vista (il senso più importante per i greci perché dotato di freddezza e quindi oggettività). L’arte contemporanea invece, che vanta una pluralità non indifferente di artisti e di seguaci, smonta questa visione a tratti stereotipata e antica della bellezza in pochi secondi, a favore di caos, dinamismo e provocazione.

Per Platone la bellezza di un oggetto è determinata anche dalla sua funzione. Se un oggetto svolge il suo compito in maniera efficace è bello, quindi se la musica o parte di questa, è in grado di istruire una determinata categoria di persone (per esempio i guerrieri) a rispettare comportamenti virtuosi ed in linea con i loro doveri, è bella (perché utile). È superfluo specificare che per Platone qualcosa è bello quando tenta di raggiungere l’idea di bello (le forme plasmate dal Demiurgo), senza purtroppo riuscire a materializzare l’idea stessa nella realtà (come crede invece Aristotele).

Per i medievali cristiani il bello si rispecchia nella contemplazione del divino e nel rispetto delle scritture che da lui provengono. In Dio risiede la bellezza suprema e perfetta che nel nostro mondo si declina in piccole dosi. Perdersi nel labirinto dei piaceri umani non rende l’uomo libero, bensì schiavo e in perenne attesa di un piacere più duraturo. Sant’Agostino passa da una vita fatta di ricerca di appagamento terreno (spettacoli teatrali, ebrezza e chi più ne ha più ne metta) alla bellezza infinita dell’amore del divino. Da pochi medievali viene tollerato un misurato utilizzo di arte ma esclusivamente in funzione pedagogica (per gli analfabeti, affinché capissero meglio le sacre scritture). È interessante citare Tommaso d’Aquino, parzialmente controcorrente, egli infatti si dimostra più aperto nei confronti delle opere d’arte (quindi bellezza terrestre): esse sono ammissibili se aiutano l’uomo nel suo perfezionamento, l’uomo deve quindi rimanere fortemente ancorato alla ragione che gli impedisce di distrarsi.

Bisognerà attendere fino al Settecento, quando finalmente qualcuno ha cercato di definire i confini sullo studio del bello creando una disciplina, l’Estetica, che rimane, soprattutto in questo primo periodo, fortemente legata alla filosofia.

Il padre dell’estetica è il tedesco Baumgarten che nel 1750 pubblica l’opera Aesthetica. In questo scritto il bello vuole essere una categoria a sé stante dotata di propri criteri di valore. Il bello, per Baumgarten è irrimediabilmente legato a doppio filo con il sensibile (i sensi). Si occupa quindi della conoscenza che deriva dai sensi opposta alla mente e per questo non può in alcun modo essere oggettiva o fonte di verità assoluta. La conoscenza estetica è completamente svincolata dal sapere scientifico, essa infatti rappresenta una conoscenza aurorale ed imperfetta (perché all’inizio). L’estetica, inoltre indaga ciò che si nasconde nel buio e quindi non è ancora giunto alla luce né, di conseguenza, alla conoscenza.